Analizzare il DNA anche di 20.000 anni fa. È la missione dei paleomicrobiologi, studiosi che si occupano della ricerca, identificazione e caratterizzazione dei microrganismi nei reperti archeologici. La letteratura a riguardo indica che in questi campioni il DNA può sopravvivere per quasi 20.000 anni e le più recenti tecniche di Paleomicrobiologia, branca emergente della microbiologia, hanno consentito di effettuare diagnosi di infezioni causate da batteri, virus e parassiti vissuti migliaia di anni fa.
Inoltre, l’analisi molecolare dei patogeni antichi può fornire un valido aiu to per ricostruire l’evoluzione delle epidemie del passato e per perfezionare i più recenti modelli di infezioni emergenti, fornendo quindi un importante contributo allo sviluppo di adeguate misure preventive.
Lo studio consiste nell’estrarre la polpa dentale da reperti archeologici, preferibilmente intatti o in ottime condizioni, ed analizzare polpa e tartaro dentale per cercare tracce di DNA antico (aDNA) e proteine ricollegabili ad agenti infettivi. Lo racconta Giuseppe Cornaglia, direttore della sezione di Microbiologia, nel dipartimento di Diagnostica e Sanità pubblica:
L’aDNA è caratterizzato da elevata fragilità e degradazione che rendono i campioni particolarmente soggetti a contaminazione ad opera di DNA “moderno” di provenienza esogena. Pertanto, al fine di condurre lo studio nella maniera più esaustiva e rigorosa possibile, era necessario disporsi di un laboratorio ad hoc.
Grazie alle esperienze all’estero di Alda Bazaj, studentessa dell’ultimo anno di dottorato in Scienze applicate della vita e della salute, che durante i primi mesi del suo dottorato ha visitato diversi laboratori in tutto il mondo specializzati nella manipolazione di reperti antichi di importanza storica, l’ateneo ha permesso la realizzazione, all’interno della sezione di Microbiologia, di un laboratorio di Paleomicrobiologia che soddisfacesse i requisiti di sicurezza, preservazione ed analisi dei reperti.
Il laboratorio di Paleomicrobiologia dell’ateneo è ora operativo su progetti riguardanti le epidemie di peste a Verona e, grazie all’autorizzazione rilasciata dalla Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano, i resti delle catacombe di Santa Tecla a Roma.
Uno dei più recenti e interessanti studi condotto dal gruppo di Paleomicrobiologia dell’ateneo, pubblicato ad agosto su “The Lancet Infectious Diseases”, ha riguardato l’indagine sui denti attribuiti allo scheletro di Caravaggio, nel corso dell’approfondita analisi del materiale studiato in occasione del 400° anniversario della morte del pittore. Tecnologie sempre più all’avanguardia, compresa per la prima volta la nuova branca della “paleo-meta-proteomics”, possono ora aggiungere nuovi dati biologici al complesso puzzle di una “scena del crimine” dei secoli scorsi e l’ateneo di Verona si sta sempre più impegnando in questo quadro di grande modernità.