Con il permesso del Rettore vorrei rivolgere un saluto molto cordiale al Sindaco e, attraverso di lui, alla città e a tutti i presenti.
Sono davvero lieto di essere, per la seconda volta in questa veste, a Verona. La prima volta è stata in occasione di una grande manifestazione vinicola, dimostrazione di uno dei punti di dinamismo economico di questa città; questa volta sono qui per l’importante appuntamento culturale per l’anno accademico dell’Ateneo.
Un saluto al Presidente della provincia, all’Assessore regionale – con gli auguri di buon lavoro -, al Corpo accademico, al personale tecnico e amministrativo e agli studenti, con molta intensità e cordialità.
Il Magnifico Rettore, che ringrazio molto, ha illustrato in maniera ampia le condizioni dello sviluppo e l’attività dell’Ateneo che in poco tempo si è affermato come un punto di riferimento nella costellazione delle nostre Università, ne ha sottolineato gli aspetti di costante adeguamento e riformulazione di offerta e di accompagnamento della formazione, della ricerca e dell’approfondimento.
Egli ha fatto un riferimento importante all’esigenza di fare uscire la cultura dall’Ateneo, portarla ovunque, anche – perché no? – nelle osterie, per diffonderla, perché questo è il ruolo della cultura. E questo Ateneo svolge intensamente tale compito, così come è dimostrato dai dati, dai numeri e dalle condizioni che ha poc’anzi illustrato.
Ma l’esortazione a portare la cultura ovunque, a diffonderla, a renderla patrimonio comune della società è davvero di grande rilievo; vorrei collegarla a quanto ha detto la rappresentante degli studenti, a dimostrazione del continuum che vi è tra corpo docente e studenti in questo ateneo, quando ha parlato dell’Università non soltanto come luogo in cui si approfondisce, si studia, si ricerca ma anche del luogo in cui si forma – come ha detto – il ragionamento critico.
La cultura e la ricerca producono spirito critico. È la loro funzione, la loro natura.
È il caso di ricordare che una cultura, o meglio, uno studio senza capacità di spirito critico non produrrebbe cultura.
La differenza tra cultura e erudizione è ben nota, così come è ben nota la differenza con l’atteggiamento di chi è chiuso nell’apparente certezza delle proprie convinzioni.
Mentre parlavano il Rettore e la Presidente del Consiglio degli studenti, mi veniva in mente la figura di Don Ferrante de ‘I Promessi sposi’: era convinto che il mondo si dividesse, in natura, in sostanze e accidenti e, non essendo il contagio collocabile né fra le sostanze, né fra gli accidenti, non esistesse. Quindi non prese precauzioni e morì di peste.
Quello della cultura aperta, capace di trasmettere conoscenza e quindi produttrice di spirito critico è un elemento indispensabile per ogni società che voglia essere protagonista e costantemente in crescita e progresso.
Vorrei riprendere anche un’ulteriore considerazione della Presidente del Consiglio di studenti quando ha parlato della capacità critica come elemento che sollecita alla conoscenza. Vorrei sottolineare, anche qui, che lo spirito critico è quello, ad esempio, che induce, quando si tratta di valutare un documento (sia esso interno o internazionale) a leggerlo, ad esaminarlo prima di formulare un giudizio, perché non si esprimono opinioni e giudizi sul ‘sentito dire’.
Ma c’è un altro aspetto che la studentessa ha sottolineato e che vorrei riprendere: lo spirito critico induce e suggerisce a un atteggiamento protagonista nella società di cui si fa parte, nella comunità in cui si vive e si opera. Questo è un elemento indispensabile in qualunque democrazia; lo è nella nostra Repubblica, lo è perché è conforme al modello indicato dalla nostra Costituzione. Parlo della partecipazione attiva. Non bisogna essere soggetti passivi. Essere attivamente protagonisti della vita comune è un ingrediente indispensabile per la nostra democrazia.
A questo vorrei aggiungere una considerazione che rende preziosa la citazione, fatta poc’anzi, delle parole di un giudice della Corte suprema Stati Uniti di un secolo fa: l’uomo politico più importante è quello di privato cittadino. Queste parole non esprimono un’indifferenza, un distacco, una sottovalutazione, una scarsa considerazione della vita delle istituzioni; al contrario, indicano che tutti ne siamo partecipi e che tutti siamo coinvolti, necessariamente e consapevolmente, nella vita comune e nella vita istituzionale.
Vorrei ringraziare molto la professoressa Baruffi per la sua relazione così ampia e così lucida. La citazione di Eschilo è affascinante. La professoressa ha detto – se non ricordo male -: ‘quello migratorio è un fenomeno senza tempo e senza confini’. In realtà è un fenomeno perenne nella storia, più intenso in alcune stagioni, come in quella nostra, anche perché, a differenza dei tempi di Eschilo, la società digitale ha provocato una rivoluzione nei mezzi di informazione, di conoscenza reciproca, di comunicazione che fa vivere tutti quanti in uno spazio comune, dovunque si risieda.
Questo fenomeno, che non è – come ha detto la Professoressa Baruffi – quindi di carattere emergenziale, ma è strutturale, costituisce una delle grandi sfide che si presenta all’Unione europea e a tutto il mondo, in realtà. Ed è un’esigenza che richiama alla responsabilità comune.
La professoressa ha sottolineato come l’Italia è stata lasciata sovente sola su questo fronte, e quello che l’Italia ha chiesto – e chiede – in questi anni, con governi di diverso orientamento, connotazione e composizione politica, è proprio che l’Unione europea assuma in maniera concreta, nella sua dimensione continentale – insieme, come Unione – il governo di questo problema.
È un fenomeno che va, non ignorato, ma governato, per evitare il rischio di essere travolti nelle condizioni del mondo di oggi. Questo richiede una responsabilità collettiva, di tutti, non soltanto di alcuni Paesi.
Anche per questo, ogni occasione, ogni sede, ogni strumento, ogni documento che richiami alla responsabilità comune, di tutti gli Stati e dell’intera comunità internazionale e che eviti di immaginare che questa responsabilità faccia carico soltanto su alcuni, pochi, Paesi, è preziosa.
Il Magnifico Rettore ha ricordato alcuni principi indicati nella Magna Charta Universitatum di trent’anni addietro e ha ricordato anche come tanti Atenei del mondo si riconoscono in quella Carta, che è un vanto del nostro Paese perché è stata – come è noto – sottoscritta a Bologna, nel nostro più antico Ateneo che ha raccolto lì tutta la nostra comunità universitaria, preziosa nel nostro Paese per quello che fa. E ha chiamato a raccolta la comunità universitaria nel mondo, per quanto possibile.
Si sono ampliate la partecipazione e il riconoscimento in questa Carta. E i principi lì indicati sono impegnativi ma fondamentali per le prospettive della crescita della comunità mondiale.
La libertà è insegnamento, fra tutti, ma soltanto quella. Questo è il motivo per cui, anche in questa occasione, desidero rinnovare il ringraziamento ai nostri Atenei e l’augurio agli studenti perché il loro futuro – che è nelle loro mani- consenta al nostro Paese progressi sempre più ampi.
Auguri, buon anno accademico.
Maggiori informazioni e fotogallery sul sito del Quirinale .
La visita del Presidente al polo Santa Marta: