Sono passati vent’anni – era l’1 gennaio 1999 – da quando undici paesi dell’Unione Europea cominciarono ad avere una moneta comune, l’euro, e diedero inizio a una politica monetaria condivisa, sotto il controllo della Banca centrale europea.
In realtà le prime monete cominciarono a circolare solo tre anni dopo, ma la decisione di abbandonare le diverse valute, per adottare una moneta unica, ha di fatto cambiato non solo gli aspetti economici del Vecchio continente, ma anche le abitudini di vita dei suoi abitanti. Vent’anni dopo, l’euro è la moneta di 19 paesi e 340 milioni di europei, ed è utilizzata da 175 milioni di persone fuori dalla zona euro. È la seconda valuta internazionale più importante e la seconda valuta più usata al mondo.
Il giudizio, però, non è univoco, anzi alcuni vedono nell’euro il colpevole della crisi economica italiana. Roberto Ricciuti, docente di Politica economica in ateneo, invita invece a non trovare in esso il capro espiatorio, identificando cause più profonde, come problemi strutturali, per spiegare la mancata crescita economica del nostro Paese:
“In primo luogo, c’è da considerare il ruolo della Cina nel commercio internazionale”, spiega Ricciuti, “almeno a partire dal suo ingresso nell’Organizzazione mondiale del commercio nel 2000. La Cina, avendo una grande manodopera a basso costo ha prodotto principalmente beni a basso valore aggiunto su cui è specializzato il nostro Paese, e dati i bassi costi ha spiazzato un numero elevato di produttori, innanzitutto nei settori del tessile, dell’abbigliamento e dei prodotti in pelle. Ma non solo, nel tempo la Cina ha modificato la propria produzione, salendo nella scala del valore e diventando competitiva in settori sempre più importanti dell’economia, come ad esempio la telefonia e più in generale la telematica. Ovviamente la Cina è stata anche un importatore di beni italiani, in particolare di macchinari e apparecchiature”.
“In secondo luogo”, prosegue il docente, “la rivoluzione tecnologica della rete, dell’intelligenza artificiale, della meccatronica hanno favorito imprese e paesi che sono stati più rapidi ed efficaci nell’applicare queste innovazioni. L’Italia, al netto di diverse eccellenze nel settore spesso localizzate proprio nel Nord-Est, data la sua specializzazione produttiva in settori meno innovativi e la dimensione delle imprese che le rende meno in grado di trarre vantaggio da queste tecnologie, è relativamente meno in grado di altri paesi di aumentare la propria competitività utilizzando le nuove possibilità tecnologiche”.
Le economie sono continuamente colpite da shock. A questi rispondono in maniera più o meno efficace, date le loro caratteristiche strutturali. “Negli ultimi venti anni”, conclude Ricciuti, “le nostre caratteristiche non hanno giocato a nostro favore (come invece avevano fatto negli anni Cinquanta e Sessanta) e questo ci richiama a una serie di riforme nei settori dell’istruzione, della pubblica amministrazione, della giustizia e del funzionamento delle imprese che servono per rimetterci in un cammino di crescita”.