“L’11 luglio 1995 migliaia di uomini e ragazzi bosniaci musulmani furono uccisi dalle truppe serbe. Donne e bambini vennero separati dai loro cari. Sono loro gli unici testimoni del genocidio, che ancora non è riconosciuto come tale”. A raccontarlo è stato Hasan Hasanovič davanti alla platea di circa ottocento studenti degli istituti superiori veronesi durante il convegno “Sopravvivere al genocidio. Srebrenica 11 luglio 1995” che si è svolto il 21 gennaio, organizzato da Radici dei diritti dell’ateneo, in collaborazione con l’Istituto superiore Copernico-Pasoli. Il convegno è stato organizzato con la collaborazione di Amnesty International Italia. Ad aprire la mattinata di lavori i saluti del Rettore, Nicola Sartor, seguiti dall’apprezzamento per l’iniziativa espresso dall’ambasciatore d’Italia a Sarajevo.
Hasanovič, sopravvissuto al genocidio di Srebrenica e oggi curatore del Memoriale di Potoĉari, luogo simbolo del massacro, ha conosciuto gli studenti dell’allora classe 4 B dell’ISS Copernico-Pasoli durante il loro viaggio “di cittadinanza consapevole” in Bosnia Erzegovina nel 2018. Da quell’incontro è nata la proposta di tradurre il libro testimonianza del genocidio scritto da Hasan, “Surviving Srebrenica”, allo scopo di diffondere la conoscenza di un tragico evento di cui poco si parla. “È stata un’iniziativa spontanea – dichiarano gli studenti – possibile per la reciproca stima che ci lega con Hasan, portata avanti grazie alla collaborazione tra noi e i nostri insegnanti”. A trasformare l’iniziativa in un’occasione di riflessione sul significato dei genocidi e sull’importanza della memoria storica è stata la proposta di Cristina Antonini, docente del liceo Maffei di organizzare un convegno durante la settimana della memoria, per rendere il messaggio ancora più significativo. “La pulizia etnica – ha spiegato la professoressa Antonini – acclamata dal nazionalismo ha reso sporco chi fino al giorno prima era pulito. Le persone hanno iniziato ad essere classificate in base a quello che sono, non a quello che fanno e questo è un crimine contro l’intelligenza. E quindi, un crimine contro l’umanità”.
“Quando nell’aprile del 1993 le truppe delle Nazioni Unite arrivarono a Srebrenica – ha raccontato Hasanovič – abbiamo creduto che per noi la guerra fosse finita. In realtà nel marzo del 1995 la situazione precipitò e la truppe olandesi, che avrebbero dovuto proteggerci, ci lasciarono soli. L’11 luglio trentamila persone fuggirono da Srebrenica verso Potoĉari, base dell’esercito olandese, e altri diecimila, tra cui io, verso Tuzia compiendo quella che è conosciuta come la “marcia della morte”. Più di ottomila uomini furono uccisi, e migliaia di donne violentate. Donne che oggi sono madri e vedove uniche testimoni del massacro”.
“La divisione etnica in Bosnia è ancora una realtà perché il genocidio non è riconosciuto e accettato, anzi è negato”. Con queste parole è intervenuta Azra Nuhefendic, giornalista bosniaca da tempo residente a Trieste. “La memoria – ha continuato la giornalista – va coltivata per proteggere le vittime e gli aggressori. Per riuscire a trovare il modo di convivere insieme e in pace”. Azra infine ha fatto notare come la memoria sia stata anche la prima vittima del nazionalismo serbo, che ha rivolto i suoi primi attacchi proprio alle istituzioni testimoni della convivenza pacifica tra Serbi e Bosniaci. “Occasioni come questa servono a non dimenticare e sono un appello a costruire un futuro pacifico”.