Sì è spento a 93 anni Andrea Camilleri, celebre scrittore siciliano, noto per i romanzi del commissario Montalbano.
Dai libri al teatro, l’Italia saluta uno dei suoi più grandi autori contemporanei. Lo ricorda Massimo Natale, docente di Letteratura italiana in ateneo.
Andrea Camilleri se n’è andato, mentre si prepara un suo libro di memorie che i lettori potranno scoprire a partire dal prossimo agosto. Presto dovrebbe fare la sua comparsa in libreria anche l’ultima puntata della saga di Salvo Montalbano, il commissario che per milioni di italiani ha da vent’anni il volto di Luca Zingaretti. Ma Camilleri non è solo il padre – di fama ormai mondiale – di Montalbano, né c’è soltanto il romanzo giallo fra i generi frequentati dallo scrittore siciliano. Camilleri è stato, specie ai suoi esordi, un uomo di teatro – è autore di una storia dei teatri stabili italiani fra fine Ottocento e primo Novecento, e un amante di Beckett e Ionesco – e ha insegnato al Centro nazionale di cinematografia di Roma.
E forse ci si dimentica che, a fianco dei gialli, ci sono una serie di suoi romanzi storici. Fra tutti si può citare il primo, del 1995, “Il birraio di Preston”, nel quale l’intrigo ruota attorno al misterioso incendio che si scatena nel teatro di Vigata. Frugare fra i vari tavoli della scrittura di Camilleri ci permette fra l’altro di intravedere i volti dei suoi maestri: Pirandello – del quale ha anche scritto una biografia romanzata, la “Biografia del figlio cambiato” – Tomasi di Lampedusa, e naturalmente Leonardo Sciascia, che è forse il primo nome che viene in mente, pensando ai suoi modelli. Di Sciascia Camilleri è certamente un “allievo”, e in lui è piuttosto riconoscibile la lezione del grande scrittore civile, anche quanto al “ruolo” dell’intellettuale: in moltissimi conoscono la sua voce protestataria, in moltissimi sono grati a Camilleri per la sua volontà di pronunciarsi – fino agli ultimi giorni – sull’attualità politica e sulle sue brutture, e di questa necessità di schierarsi senza mezzi termini si sentirà senz’altro la nostalgia: ecco fare capolino intanto, nei suoi romanzi, il G8 di Genova, la sorte dei migranti, oltre naturalmente alla mafia e a molto altro.
Ma al di là dell’attenzione alla storia e alla politica c’è in Camilleri – diversamente che in Sciascia – uno strenuo, pirotecnico esercizio linguistico: la lingua di Camilleri è una specie di cantilena avvolgente, spesso irta di sicilianismi, segnata anche dalla poeticità dei suoi splendidi titoli, uno per tutti: “La forma dell’acqua”. Come a ricordarci fra l’altro che spessissimo, nella sua storia, la letteratura italiana è necessariamente letteratura “regionale”, di piccole patrie che sappiano però guardare lontano, che abbiano comunque come orizzonte il mondo.
Quel piccolo angolo di mondo non si mostra mai come bieca rivendicazione identitaria, lascia anzi trasparire una malinconia ben avvertibile, una tenerezza per sé e per la propria infanzia scomparsa. Gli stessi fuochi d’artificio linguistico sono il migliore omaggio di Camilleri al proprio mondo che si inabissa: il piacere con cui Montalbano divora i suoi cannoli o gli spaghetti in un ristorantino sul mare è lo stesso piacere malinconico con cui Andrea Camilleri ha attraversato per tutta la vita le parole – e le storie – della sua terra.