Attraverso la fotosintesi le piante convertono l’energia solare in materia vivente, che l’uomo utilizza per molteplici scopi: per nutrirsi, per ottenere farmaci, come carburante o come materia prima rinnovabile nell’industria. Quando la luce assorbita è in eccesso, tuttavia, la pianta ne soffre ed in essa s’innescano processi di difesa che dissipano l’energia.
Nello studio “Identification of a pigment cluster catalysing fast photoprotective quenching response in CP29” il gruppo di ricerca dell’ateneo scaligero ha analizzato il processo con cui le piante si proteggono dall’eccesso di luce, tracciando i meccanismi che regolano il trasferimento dell’energia luminosa ai motori molecolari che la utilizzano e definendone, per la prima volta, le basi molecolari. Un passo importante nella comprensione di come poter agire per ottimizzare l’uso dell’energia da parte delle piante.
La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Nature Plants, è stata condotta dal gruppo di ricerca composto da Zeno Guardini, Mauro Bressan, Roberto Caferri, Roberto Bassi e Luca Dall’Osto, del dipartimento di Biotecnologie dell’università di Verona. Zeno Guardini e Roberto Caferri sono due giovani dottorandi in Biotecnologie, Mauro Bressan ha ora lasciato l’università per l’industria privata. Luca Dall’Osto è il più giovane dei professori ordinari del dipartimento, Roberto Bassi ne è stato tra i fondatori nel 1993.
“La ricerca si è focalizzata sui primi eventi di cattura della luce nelle piante, che avvengono in tempi brevissimi, dell’ordine del miliardesimo di secondo. Mentre molti dettagli sono stati chiariti, permaneva un mistero che ha tenuto occupati i biofisici per 60 anni: come riescono le piante a far fronte ai continui cambiamenti nell’intensità della luce che le investe? Per loro, la luce è la sola fonte di energia e allo stesso tempo una minaccia. Infatti, l’energia assorbita in eccesso rispetto alle necessità metaboliche causa la formazione di molecole tossiche che possono distruggere le strutture molecolari fino a uccidere la pianta” spiega Dall’Osto.
“In pieno sole, tutte le piante assorbono più luce di quanto il loro metabolismo possa utilizzare per la crescita”, continua Bassi. “Per prevenite la tossicità dell’eccesso di luce, le piante si difendono attivando un ‘interruttore molecolare’, che accelera enormemente la velocità delle reazioni, già di per sé ultrarapide, e trasforma l’energia della luce in calore. Il meccanismo molecolare è analogo ad un circuito elettrico di sicurezza, in cui il sovraccarico di energia viene disperso evitando danni al sistema. A differenza di quello di casa nostra, il meccanismo delle piante è reversibile e si spegne appena la luce diventa più bassa e può essere tutta usata per la crescita”.
L’importanza della scoperta consiste nell’aver localizzato l’origine della risposta protettiva, e le basi molecolari che permettono al ‘relè’ di agire. “Conoscendo la prima linea della difesa vegetale, e in che modo essa funziona, possiamo pensare di modificarla, adattandola alle esigenze più diverse”, prosegue Dall’Osto “ad esempio, si potrà regolare la risposta al ribasso per far crescere le piante più in fretta in ambienti meno illuminati come le serre o aumentarla per permettere alle piante di crescere in ambienti ostili quando la troppa luce è accompagnata da altri fattori negativi come il freddo o la siccità. Oggi sappiamo che il processo di fotosintesi non è ottimizzato per la massima resa: le piante preferiscono produrre meno in cambio di avere minori rischi di essere danneggiate quando la luce è eccessiva. Esiste quindi un significativo margine di miglioramento. L’obiettivo, ambizioso, è di contribuire ad incrementare la quota di bio-prodotti ottenuti da filiere industriali basate su processi sostenibili”.
“Il dipartimento di Biotecnologie di Verona, il primo in Italia, è stato fondato per utilizzare le scoperte della biologia molecolare moderna al fine di sviluppare un’agricoltura più sostenibile e produttiva. Nella ricerca oggi pubblicata sono state utilizzate moderne tecnologie genetiche, mentre l’effetto dei cambiamenti operati sono stati identificati attraverso metodi biofisici e biochimici. Era proprio questo che volevamo sviluppare 25 anni fa fondando questo Istituto”, prosegue Bassi. “Ora che nei nostri laboratori ci siamo arrivati, ci auguriamo che la politica sia abbastanza lungimirante da raccoglierne i vantaggi per il nostro sistema produttivo e di ricerca. Altri progetti sono vicini alla pubblicazione: un metodo per la sostituzione degli erbicidi con semplici sostanze minerali e una tecnologia per convertire il legno in biodiesel. Tutte queste ricerche utilizzano le stesse tecnologie ideate per le ricerche di base, come quella pubblicata oggi”.
Il laboratorio di Fotosintesi e Bioenergie è parte del dipartimento di Biotecnologie, diretto da Paola Dominici. Hanno finanziato lo studio l’ateneo scaligero e la Commissione europea.