Gli italiani, secondo i dati, leggono poco. Lo scorso anno l’Istat rilevava che solo 4 su 10 hanno avuto almeno un libro sul comodino durante l’anno. Questa emergenza sanitaria, però, con le raccomandazioni a restare in casa, potrebbe spingere i nostri connazionali a riscoprire il piacere della lettura. Massimo Natale, docente di Letteratura italiana nel dipartimento di Culture e civiltà, consiglia i cinque libri da leggere in questo periodo di permanenza domestica.
“Ha scritto Gaston Bachelard che «l’immensità intima» – lo scavo dentro di sé, anche attraverso la forza dell’immaginazione – è «il movimento del viaggiatore immobile». In tempi di stanzialità forzata, si può chiedere alla letteratura – anche quella italiana contemporanea – di portarci altrove, anche solo per un’ora.
Cominciamo da un capolavoro come Danubio (Garzanti, 1986) del triestino Claudio Magris: una coltissima passeggiata lungo l’Europa danubiana per riscoprire luoghi che speriamo di ritrovare presto, da Vienna a Budapest a Belgrado, e incontrare grandi nomi come Elias Canetti, o piccole storie come quella di Nonna Anka, personaggio-emblema di un’identità europea costruita sulla mescolanza. Tenendo sempre in mente, come fa Magris, le parole di Baudelaire: «Je voyage pour connaître ma géographie».
Si può scegliere, altrimenti, di viaggiare nel tempo, per esempio nel secolo scorso, in compagnia di un altro dei nostri migliori scrittori, il romano Emanuele Trevi. È dell’anno scorso il suo bellissimo Sogni e favole (Ponte alle Grazie, 2019), una sorta di diario-saggio che riporta in vita tre figure come il fotografo americano Arturo Patten, la poetessa Amelia Rosselli e il critico Cesare Garboli, e ci fa riassaporare – o farà scoprire a chi non l’ha vissuta – la malinconica (e insieme splendida, vista da questi anni) atmosfera di fine Novecento, osservata con gli occhi di un intellettuale-scrittore che non ha mai smesso di sognare, e di frugare la vita in cerca di storie.
Anche la poesia contemporanea ha le sue carte da giocarsi: punterei su due fra i maggiori poeti italiani viventi. La prima è Antonella Anedda – anche lei nata a Roma – che ha da poco pubblicato le sue Historiae (Einaudi, 2018): una grande elegia del perduto che sa dialogare con l’antico – per esempio con l’Eneide di Virgilio – mentre posa il suo sguardo pietoso sulle ferite del presente, soprattutto sul dramma dei migranti (come in Ghazal: «Lo sai, alcuni fuggono, altri sono macellati nel sonno./A Levante il rosso confonde il nostro Occidente./Il sangue stinge nell’Eufrate»).
Il secondo è Milo De Angelis, poeta milanese che sin dagli anni Settanta regala ai suoi lettori versi di ardua, potente bellezza. Consiglio un suo libro di qualche anno fa, Quell’andarsene nel buio dei cortili (Mondadori, 2010: ma tutte le sue raccolte sono ora in Tutte le poesie 1969-2015, uscito per lo stesso Mondadori). Tornano i temi da sempre cari a De Angelis – l’enigma della morte, l’obbedienza al proprio demone, il mistero dell’amore – e si possono pescare perle come questa: «L’amore era silenzioso come una congiura/nessuno sapeva se la vita era immensa/oppure niente, se il tempo dilagava/oltre le colline oppure un dio venerando/impediva al gesto la sua crescita o impediva/alle more di restare sulle labbra».
Chiudo con un romanzo fresco di stampa. Il suo autore è il modenese Walter Siti, che esce con un titolo prodigiosamente evocativo e insieme sinistro: La natura è innocente. Due vite quasi vere (Rizzoli, 2020). Lascio al lettore il piacere di scoprire le vicende di Filippo e Ruggero, i due protagonisti. Anticipo solo che ancora una volta – come in una delle sue prove migliori, Resistere non serve a niente – Siti scandaglia coraggiosamente l’anima umana mettendosi dalla parte del male. E la quarta di copertina si propone, intanto, come una vera e propria difesa della letteratura: «Se un tempo scrivevo per salvarmi la vita – ci dice Siti – ora scrivo per scrivere, per difendere la letteratura da chi la vorrebbe morta (o mutilata, o asservita); per capire che cos’è una storia e se ha senso raccontarla». Viviamo giorni difficili, con filosofi che blaterano di stato d’eccezione citando (male) i Promessi sposi e collettivi di scrittori anonimi che usano la letteratura come una pallottola (spuntata). Walter Siti, anche attraverso la finzione, indaga la realtà: non è davvero poco”.