Ogni giorno medici e personale sanitario vengono giustamente celebrati per il loro operato e i loro sacrifici nella lotta all’emergenza Covid-19, ma contemporaneamente, e per certi versi paradossalmente, si vedono sottoposti alla “minaccia” di essere chiamati a risponderne in tribunale.
Alcune procure hanno infatti già avviato indagini, come si stanno diffondendo annunci di studi legali che offrono ed incentivano la proposizione di azioni giudiziarie nei confronti di medici e personale sanitario, date le recriminazioni talora avanzate da familiari di alcuni malati per il trattamento ricevuto od il suo esito. Le associazioni di categoria dei sanitari hanno quindi chiesto con forza alle istituzioni di legiferare in materia, introducendo un’apposita disciplina normativa che esoneri il personale sanitario da responsabilità per le attività svolte durante tutto il periodo dell’emergenza epidemica.
Ne abbiamo parlato con Lorenzo Picotti e Roberto Flor, docenti di Diritto penale nel dipartimento di Scienze giuridiche, che hanno trattato gli aspetti penalistici della questione.
Secondo il codice penale, dopo la riforma portata dalla legge n. 24/2017, quali sono i casi in cui il medico ed il personale sanitario possono essere considerati penalmente responsabili per la morte o la mancata cura di malattie dei pazienti? E in tali casi di che reati dovrebbero rispondere?
La legge del 2017 ha introdotto un nuovo articolo 590-sexies nel codice penale, al fine di limitare la responsabilità penale per lesioni colpose (art. 590 c.p.) o per omicidio colposo (art. 589 c.p.) cagionati a pazienti nell’esercizio della professione sanitaria. In particolare, se sono rispettate le “Linee guida” o le “buone pratiche clinico-assistenziali”, quali formalmente stabilite o comunque riconosciute, non c’è punibilità per tali delitti, sempre che l’evento si sia verificato a causa di imperizia, vale a dire quando il caso concreto imponga la soluzione di problemi di speciale difficoltà, e sempre che le raccomandazioni previste dalle predette “Linee guida” risultino adeguate alle specificità del caso concreto.
Al di fuori di queste ipotesi di esenzione da responsabilità, l’esercente la professione sanitaria risponde a titolo di colpa per la morte o le lesioni personali, se vi è stata da parte sua negligenza od imprudenza, pur “lieve”; ovvero anche se vi è stata imperizia, nei casi in cui il caso concreto non risulti regolato dalle raccomandazioni delle “Linee-guida” o dalle “buone pratiche clinico-assistenziali”, ovvero vi sia stata imperizia nella loro individuazione e scelta, perché non adeguate alla specificità del caso concreto, o comunque se vi sia stata imperizia “grave” nella loro esecuzione, tenuto conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell’atto medico.
Si tratta dunque di una disciplina complessa e non determinata con adeguato grado di precisione dalla legge, per cui vengono lasciati ampi margini di valutazione al Pubblico Ministero, al Giudice ed ai Periti, che devono essere chiamati ad esprimere le loro valutazioni specialistiche e medico legali.
L’errore nella diagnosi del Covid-19 rientra nell’imperizia non punibile? E gli errori nelle cure a seguito di una diagnosi corretta?
L’errore diagnostico relativo ad una malattia quale il Covid-19, che è riconoscibile da sintomi sufficientemente noti ed accertabile con metodologie affidabili di ricerca del virus, non sembra possa rientrare nei casi di non punibilità appena illustrati.
Invece, un errore non punibile potrebbe verificarsi nella fase esecutiva, in specie della terapia, ma sempre che non si manifesti un’imperizia “grave” che la giurisprudenza della Corte di Cassazione ritiene tuttora punibile – nonostante il nuovo art. 590-sexies c.p., sopra menzionato, non operi una tale distinzione nell’ambito dell’imperizia – per il retaggio invero della precedente disciplina in materia.
Mancando però “Linee guida” accreditate o “buone pratiche clinico-assistenziali” già riconosciute, poiché il trattamento del Covid-19 si deve ritenere ancora in fase sperimentale, non essendoci farmaci specificamente riconosciuti per la sua terapia, si potrebbe configurare un errore esecutivo nell’adeguamento al caso concreto delle relative prescrizioni, essendo inevitabile un certo grado di approssimazione nell’individuazione ed applicazione di pratiche e terapie che non sono ancora consolidate. La difficoltà di individuare parametri oggettivi rende dunque incerta la distinzione fra un errore incolpevole, non tanto in fase diagnostica, quanto in fase esecutiva, ed uno invececolposo, configurabile ad esempio in casi di incompatibilità delle prescrizioni con trattamenti in essere per pregresse patologie del paziente, o per errori di dosaggio o gravi ritardi ed omissioni nella somministrazione.
L’emergenza epidemica che stiamo vivendo può influire sull’accertamento della responsabilità del sanitario?
La crisi emergenziale che stiamo vivendo amplifica le difficoltà interpretative dei casi di esonero della responsabilità penale del personale sanitario, appena illustrati, e ne può condizionare l’applicazione, rendendo evidenti le criticità della disciplina vigente.
Innanzitutto, vi sono moltissimi sanitari che vengono richiesti ed accettano per necessità e spirito di abnegazione professionale di svolgere attività medico-terapeutiche di contrasto del Covid-19, pur non possedendo una specifica esperienza e specializzazione nel settore.
Inoltre, la frequente tardività della diagnosi, dovuta al fatto che i malati giungono al pronto soccorso quanto sono in una situazione di avanzata evoluzione o addirittura già compromessa, e le difficoltà di individuare e applicare comunque terapie farmacologiche adeguate, nonché la limitatezza della disponibilità di apparecchi di ventilazione forzata e di posti di terapia intensiva, rispetto all’enorme ed improvvisa quantità di malati affetti da detta nuova patologia, richiedono che il giudice operi una verifica attenta del comportamento del personale sanitario nel concreto contesto organizzativo e nei singoli casi.
Se da un lato non sono accettabili e vanno perseguite anche penalmente, anche in questa situazione, condotte che fossero connotate da indifferenza, superficialità, lassismo o addirittura scelleratezza, integranti ipotesi di responsabilità per colpa a titolo di negligenza e/o imprudenza, oltre che in violazione di eventuali specifiche prescrizioni operative, dall’altro bisognerà valutare anche il profilosoggettivo della colpa, vale a dire la concreta possibilità del singolo sanitario di seguire e rispettare gli standard oggettivi di comportamento, conformi alla miglior scienza ed esperienza del settore.
In pratica, potrebbe non essere soggettivamente esigibile, e dunque non potrebbe fondare un’imputazione a titolo di colpa sul piano penale, un discostamento dai migliori standards oggettivi di condotta che sia dovuto al particolare sovraccarico di lavoro, alla compresenza di indicazioni contrastanti od incerte, all’esiguità dei tempi di decisione, all’impossibilità di tempestivo controllo dell’operato altrui, ad es. del personale infermieristico, di cui pur sia abbia la responsabilità, o di colleghi su cui si faccia affidamento.
Il sanitario non deve infatti essere visto come mero destinatario di obblighi ed indirizzi rigidi. Egli è il garante della salute del paziente ed è chiamato ad adattare continuamente la sua attività alle esigenze individuali dettate dal quadro patologico, che può anche essere aggravato da patologie pregresse, condizionanti il decorso causale, che può portare all’esito infausto senza che nessun rimprovero sia a lui penalmente addebitabile.
Cosa pensate della proposta delle associazioni di categoria che chiedono un’apposita disciplina normativa che esoneri il personale sanitario da responsabilità penale durante tutto il periodo dell’emergenza epidemica?
Già in situazioni non emergenziali il diritto penale dovrebbe intervenire soltanto quale extrema ratio.
Purtroppo in Italia non è così, per un complesso di ragioni che non si possono qui esaminare, ma principalmente perché è più facile e meno rischioso anche economicamente presentare una denuncia penale alla Procura del Repubblica, chiedendo che il magistrato disponga le necessarie indagini e le eventuali consulenze tecniche, che non affrontare i costi e rischi di una causa civile da intraprendere di propria iniziativa, senza prospettive di una tempestiva soluzione risarcitoria, che implicherebbe anche un adeguato e pronto intervento degli enti ospedalieri e delle società di assicurazione.
L’emergenza che stiamo vivendo dovrebbe però portare a tutelare maggiormente le persone degli operatori medico-sanitari dal rischio di subire procedimenti penali, fermo restando il diritto di ciascuno malato o parente di veder accertate le eventuali responsabilità, anche penali, in caso di violazioni gravi delle regole di comportamento e di esito non salvifico delle cure, di cui peraltro occorre anche accettare i possibili esiti negativi.
Il legislatore potrebbe intervenire con una legge eccezionale o temporanea, come è stato da taluno prospettato, subordinata al persistere della grave situazione di emergenza sanitaria, che preveda una clausola di esonero della responsabilità penale più ampia e più chiara di quella contenuta nel vigente art. 590-sexies c.p.
In particolare, in forza del principio costituzionale di personalità della responsabilità penale (art. 27 Cost.) e del diritto fondamentale alla salute, che è nel contempo un interesse della collettività (art. 32 Cost.), si potrebbe estendere la non punibilità del personale medico-sanitario a casi di discostamento “non grave” dagli standards oggettivi di comportamento, specie se scusati da situazioni di specifica incertezza diagnostica o terapeutica ovvero da straordinari e comprovati carichi di lavoro e di prestazioni assistenziali che vadano oltre le personali specializzazioni, esperienze e competenze. Casi di leggi temporanee od eccezionali si sono avuti, ad esempio, in tempi di guerra o di particolari calamità naturali. Si tratta, però, di una soluzione estrema, da vagliare con attenzione e non pacificamente condivisibile. In gioco vi è sempre la salute e la vita dei cittadini.
Preferibilmente si potrebbe cogliere l’occasione per modificare, con una previsione di portata generale, l’art. 590-sexies c.p., così da superare le incertezze e criticità evidenziate nell’esperienza applicativa fino ad oggi, circoscrivendo la responsabilità penale ai soli casi “particolarmente gravi” di negligenza, imprudenza ed imperizia, rispetto alla miglior scienza ed esperienza del settore, da ricondurre principalmente, ma non solo, al mancato rispetto di “Linee guida”, che potrebbero non essere ancora formulate o formalmente riconosciute.
Nel nostro ordinamento vige il principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Cost.). Ma con un necessario bilanciamento tra i differenti valori in campo, si dovrebbero fin d’ora poter distinguere i casi in cui ictu oculi la denuncia non presenti caratteri sufficienti da giustificare l’iscrizione nel registro delle notizie di reato e l’inizio di indagini penali contro i singoli sanitari, lasciando piuttosto spazio all’intervento dell’ente ospedaliero, per cercare soluzioni risarcitorie ed/od intraprendere azioni disciplinari, previe le necessarie verifiche specialistiche e medico legali, da affidare a consulenti esterni.
Nella seconda parte dell’approfondimento seguiranno gli interventi di Domenico De Leo, docente di Medicina legale e presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia dell’ateneo, e di Mirko Faccioli, docente di Diritto privato del dipartimento di Scienze giuridiche, che tratteranno la questione dalla prospettiva medico-legale e civilistica.