Ogni giorno medici e personale sanitario vengono giustamente celebrati per il loro operato e i loro sacrifici nella lotta all’emergenza Covid-19, ma contemporaneamente, e per certi versi paradossalmente, si vedono sottoposti alla “minaccia” di essere chiamati a risponderne in tribunale.
In questa seconda parte dell’approfondimento gli interventi di Domenico De Leo, docente di Medicina legale e presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia dell’ateneo, e di Mirko Faccioli, docente di Diritto privato del dipartimento di Scienze giuridiche, che trattano la questione dalla prospettiva medico-legale e civilistica. Qui la prima parte dell’intervista.
Secondo la disciplina vigente, i medici e il personale sanitario possono essere chiamati a risarcire i danni conseguenti ad eventi avversi ricollegati al Covid-19? L’emergenza epidemica può influire sull’accertamento della loro responsabilità? (risponde M. Faccioli)
L’art. 2236 codice civile prevede che tutti i professionisti intellettuali, e quindi anche i medici, rispondono solo per dolo o colpa grave per i danni cagionati nell’esecuzione di prestazioni «di speciale difficoltà»; e pure in ambito civile vale la regola, contenuta nella legge n. 24/2017, che obbliga i medici ad attenersi, salvo le specificità del caso concreto, alle «raccomandazioni previste dalle linee guida» pubblicate ai sensi della legge stessa e, in loro mancanza, alle «buone pratiche clinico-assistenziali». Anche il giudice impegnato a valutare la responsabilità civile degli operatori sanitari è, quindi, obbligato a tenere nella giusta considerazione le peculiarità del Covid-19 e le criticità dell’emergenza epidemica che sono già state evidenziate nella prima parte di questa intervista trattando della responsabilità penale del medico.
Non bisogna però dimenticare che i due regimi di responsabilità viaggiano su binari differenti e che all’assoluzione in sede penale può comunque accompagnarsi la condanna al risarcimento del danno in sede civile, perché quest’ultima non è subordinata, come prevede l’art. 533 cod. proc. pen., al fatto che l’accusato appaia colpevole «al di là di ogni ragionevole dubbio»: in sede civile la valutazione della responsabilità del medico può quindi essere più rigorosa, soprattutto nelle ipotesi in cui sia incerto il quadro probatorio relativo al nesso causale tra la condotta del sanitario e l’evento avverso di cui è rimasto vittima il paziente.
Un altro aspetto critico è, poi, quello assicurativo. A causa dell’emergenza epidemiologica, infettivologi e rianimatori-intensivisti impegnati nella cura dei pazienti affetti da Covid-19 vengono spesso affiancati da medici appartenenti ad altre specializzazioni, i quali pertanto si trovano ad operare in un ambito che fuoriesce non soltanto dalle proprie competenze, ma pure dalla copertura prevista nella loro polizza.
E per quanto riguarda le strutture sanitarie? (risponde M. Faccioli)
Qui il discorso si fa più complesso perché le strutture sanitarie sono chiamate non solo a risarcire i danni riconducibili alla malpractice del personale medico, ma anche a rispondere, in via diretta e autonoma, delle inadeguatezze e delle disfunzioni organizzative afferenti al proprio apparato di strumenti, mezzi, uomini e risorse; e tale responsabilità può essere pronunciata anche in presenza di danni c.d. anonimi, ovverosia non riconducibili con precisione alla negligenza individuale di uno o più singoli operatori.
Certo, nessuno potrebbe mai pensare di condannare una struttura sanitaria per il fatto di non essersi attrezzata per tempo ad accogliere pazienti affetti dal virus giunti nelle quantità, nei tempi e nelle condizioni che tutti ben conosciamo. Maggiori spazi per un’affermazione di responsabilità potrebbero però aprirsi qualora si discuta, più che della cura dei malati di Covid-19, della mancata o scorretta adozione, a livello organizzativo e strutturale, delle misure preventive atte a scongiurare il rischio della diffusione del virus all’interno dell’ospedale, quali l’isolamento dei malati, la sanificazione ambientale, la disinfezione degli strumenti medici riutilizzabili, e così via: in altri termini, qualora venga accertato che il nosocomio non ha provveduto, ovviamente nei limiti in cui l’emergenza epidemica lo consentiva, a pianificare e implementare in maniera adeguata l’impiego di tali accorgimenti in modo da evitare che i malati di Covid-19 contagiassero altre persone.
Cosa pensa della proposta di esonerare il personale medico e le strutture sanitarie da responsabilità civile durante il periodo dell’emergenza epidemica? (risponde M. Faccioli)
Mi sembra che l’odierna disciplina della responsabilità civile sanitaria contempli già la possibilità di tenere conto delle enormi difficoltà che la lotta al Covid-19 solleva: se si è d’accordo con questa premessa, potrebbe allora non apparire necessario introdurre apposite norme in materia, anche perché, com’è già stato sottolineato nella prima parte di questa intervista, vi è sempre in gioco la salute e la vita dei cittadini, che vanno preservate da ogni possibile fenomeno di deresponsabilizzazione, tanto dei singoli quanto delle strutture nosocomiali. Forse si potrebbe pensare, più che ad una esclusione di responsabilità, ad una disciplina che accentui il peso giocato nelle aule giudiziarie dall’eccezionalità della situazione: mi sembra che vadano in questa direzione alcune delle proposte di intervento normativo che ho avuto modo di consultare in questi giorni, nelle quali la responsabilità di cui parliamo viene limitata ai casi di dolo e colpa grave e quest’ultima viene valutata alla luce di fattori quali la situazione organizzativa della struttura, il numero di pazienti presi in carico e la gravità delle loro condizioni, la disponibilità di attrezzature e personale, il livello di esperienza e specializzazione del singolo operatore.
Quali sono le implicazioni medico legali dell’epidemia da Covid-19? (risponde D. De Leo)
Il Servizio sanitario nazionale, a partire dall’ultima decade di febbraio 2020, è stato investito dalla drammatica esplosione dell’epidemia da SARS-Cov2, caratterizzata dall’estrema capacità infettante intrinseca del patogeno unitamente ad un’alta percentuale di pazienti necessitanti di cure e assistenza ospedaliera. Da questo punto di vista, i professionisti sanitari tutti si sono da subito ritrovati a far fronte ad un incremento repentino di accessi ospedalieri unito al concreto rischio di contrarre il patogeno in corso di assistenza ai pazienti, talora non disponendo, specie nella prima fase e nelle strutture sanitarie periferiche, di adeguati sistemi di protezione.
In tale contesto le implicazioni medico legali relative alla tutela previdenziale degli esercenti la professione sanitaria coinvolti, unitamente a possibili sviluppi giudiziari in ambito di responsabilità sanitaria, si rivelano temi di estrema attualità. L’impegno che la Medicina legale ha sempre dimostrato nell’interesse dei cittadini e della collettività richiama in tale circostanza i professionisti della disciplina ad affrontare le tematiche medico legali con estremo senso di responsabilità e di credibilità scientifica a fronte del proporsi, già oggi in un momento di crisi sanitaria conclamata del paese, di offerte di patrocinio legale (e medico legale) nella prospettiva di una facile dimostrabilità futura di carenze organizzative assistenziali del sistema e dei singoli professionisti, presupposto di risarcimenti anche cospicui.
Nella storia delle recenti epidemie, il personale sanitario ha sempre pagato tali eventi a caro un prezzo in termini di morbilità e mortalità. In Italia, dall’esplosione dell’epidemia di SARS-Cov2 si stima che circa il 10% degli individui infettati sia costituito da personale sanitario, con oltre 70 medici deceduti ad oggi ed oltre 10000 medici ed infermieri contagiati e malati.
La grande diffusione del virus e le oggettive possibilità di contagio anche in sede extra-ospedaliera o extra-ambulatoriale non potranno ostacolare, anche senza ricorrere ad una legislazione dedicata, il riconoscimento dell’attività clinico-assistenziale quale rischio specifico o almeno generico aggravato ai fini della tutela INAIL. In tal senso, l’inquadramento come “infortunio sul lavoro” della patologia infettiva Covid-19 può essere ipotizzata di default senza particolari approfondimenti epidemiologici sulla possibile catena causale. In merito alle eventuali conseguenze di “danno biologico” di carattere permanente, indennizzabili una tantum o con rendita, allo stato attuale poco o nulla si conosce circa i postumi di Covid-19 per cui ogni tipo di valutazione e di identificazione causale andrebbe posticipata alla luce della letteratura scientifica in divenire.
Dalla prospettiva medico legale, quali sono gli spazi per un’affermazione di responsabilità di medici e strutture sanitarie per eventi avversi legati all’epidemia? (risponde D. De Leo)
Discutere oggi delle possibili future azioni di responsabilità sanitaria collegate alla epidemia, una volta superata, personalmente costituisce motivo di grande disagio e financo risentimento: tuttavia, tutte le crisi economiche del passato, ed una prossima crisi di questa natura è praticamente certa a breve termine, hanno stimolato in parte della popolazione la ricerca di supporti economici attraverso letture giudiziarie delle vicende umane (la cosiddetta “giurificazione” del vivere civile), con la strenua ricerca di responsabili sui quali far gravare il proprio impoverimento.
In relazione alla responsabilità civile della struttura sanitaria (e collateralmente degli esercenti le professioni sanitarie) parrebbero teoricamente ascrivibili alla struttura sanitaria responsabilità per contagio intra-ospedaliero di paziente certamente negativo all’ingresso, per ritardo diagnostico dell’infezione, per carenza dell’attività terapeutica, in particolare nel passaggio da una fase clinica di sostegno modesto (ossigenazione) alla funzione respiratoria al supporto totale con intubazione in sedazione e connessione a respiratore artificiale.
In merito al contagio intra-ospedaliero alla luce degli oneri probatori gravanti in una prospettiva contrattuale sulla struttura, proprio per le caratteristiche del patogeno (tempo di incubazione estremamente variabile) e per gli elementi epidemiologici che individuano un elevato tasso di contagio tra i sanitari, risulterebbe estremamente problematico il riconoscimento causale alternativo all’ambiente nosocomiale dell’infezione contratta dal paziente (negativo all’ingresso), dovendo comunque dimostrare la struttura di avere messo in atto misure “ragionevolmente” attese in un contesto di eccezionalità.
In merito ad ipotetici profili di responsabilità riconducibili a ritardo diagnostico, la quaestio del riconoscimento del momento causale di infezione determinata da variabili tempi di incubazione del virus, rende allo stato attuale la valutazione medico legale critica sotto il profilo causale ed ancor più impegnativa nella proposta di ragionamenti controfattuali, necessari per l’inquadramento colposo dei comportamenti professionali, di fatto non concretamente ipotizzabili sulla base di linee guida o buona pratica clinica condivisa (si pensi alle più diverse sperimentazioni in atto nel totale vuoto di approcci terapeutici validati alla luce di una solida evidence based medicine).
Infatti, in ambito terapeutico per l’infezione da SARS-Cov2 allo stato attuale non vi sono ancora farmaci testati di certa efficacia contro il virus, né linee guida terapeutiche condivise e accettate dalla comunità scientifica (la maggior parte della letteratura non è ancora stata sottoposta a peer review ma è disponibile in forma di “pre-print”), né buone pratiche clinico-assistenziali (se non quelle relative alla terapia di supporto come ad esempio l’assistenza intensivistica nei casi più gravi) che, quindi, non potrebbero essere rilette criticamente alla luce delle specificità del caso concreto (come la legge n. 24/2017 impone). In ambito di Covid-19 dunque, in assenza di parametri clinico-assistenziali codificati a cui far riferimento, sembrerebbe assai arduo il riconoscimento medico legale di criticità attribuibili a responsabilità per condotte imperite non essendo presenti parametri concreti sulla base dei quali sancire se una condotta sia stata adottata con imperizia o meno.
In assenza di una svolta legislativa sostanzialmente legata alla situazione di emergenza (i.e. “moratoria”) che potrebbe apparire opportuna se non necessaria e che è sollecitata da molte parti, pare tuttavia potersi prevedere un periodo post epidemia gravato da un elevato tasso di sinistrosità sanitaria nella quale, se la memoria dei cittadini non sarà corta, saranno coinvolte più le strutture sanitarie che i singoli professionisti (oggi eroi…).