Quando è scoppiata l’emergenza coronavirus, la maggior parte dei corsi del secondo semestre era iniziata da appena due settimane. Da quel momento tutte le attività didattiche si sono svolte in via telematica. Annalisa Ciampi, docente di diritto internazionale al dipartimento di Scienze giuridiche, ci ha raccontato la sua esperienza.
Professoressa, come ha gestito l’attività didattica dopo il lockdown?
Avevo oltre 100 ore di lezione ancora da svolgere, e ho scelto la modalità webconference tramite lo strumento Zoom, che consente non solo la diretta live, ma anche una forte interazione con gli studenti e le studentesse. Tutto o quasi tutto può essere fatto online: dalle domande socratiche alle discussioni seminariali, quando il numero degli studenti e delle studentesse lo consente. La didattica consente di sperimentare anche nuove modalità. I nostri studenti e studentesse hanno risposto seguendo le lezioni, rimanendo impegnati e sostenendosi a vicenda, anche se molti hanno dovuto affrontare gravi interruzioni nella loro vita quotidiana e nel loro lavoro: gli studenti e studentesse erasmus in particolare, alcuni inizialmente “bloccati” a Verona, altri rientrati frettolosamente talora lasciandosi dietro portatili e libri, immaginando che l’emergenza sarebbe cessata e sarebbero tornati a Verona dopo qualche settimana. È stato importante che abbiano comunque potuto continuare a seguire le lezioni da Germania, Spagna, Francia, Ungheria etc.
Il coronavirus ha inciso anche sui programmi dei corsi?
Tutti i nostri corsi hanno e dovranno fare i conti con l’emergenza coronavirus anche sul piano dei contenuti, oltre che delle modalità di erogazione della didattica. Credo che non vi sia area del sapere in cui l’emergenza, in tutte le sue dimensioni (sanitaria, sociale, economica), così come le misure di risposta adottate a tutti i livelli (internazionale, nazionale, locale, individuale) non siano destinate a lasciare un segno profondo. Questo vale certamente per le scienze giuridiche, in tutti i campi del diritto in particolare per la materia di cui mi occupo, il diritto internazionale.
Può farci qualche esempio?
Con gli studenti e studentesse di Diritto delle organizzazioni internazionali ci siamo occupati di cooperazione tra Stati in campo sanitario e nella ripresa economica rispetto a una crisi su scala globale come quella generata dalla diffusione del Covid-19. Quando è richiesta cooperazione a livello internazionale, l’azione delle organizzazioni assume la massima rilevanza. Abbiamo osservato il ruolo cruciale, ma anche i limiti, dell’Oms. Il 30 gennaio 2020, l’Oms ha dichiarato il Codiv19 una emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale, per poi riclassificarla una minaccia di alto rischio, fino a definirla, l’11 marzo 2020, pandemia stabilendo un fondo per la risposta sanitaria: supporto per le attrezzature mediche e la formazione del personale, linee guida per la sicurezza e informazioni sull’andamento dei contagi e lo sviluppo della ricerca per il trattamento e i vaccini. Eppure, almeno nella fase iniziale, l’apprezzamento pressoché incondizionato delle misure adottate dalla Cina per il controllo sulla diffusione del coronavirus ha impedito una valutazione, anche critica, delle medesime così come delle misure adottate dall’Italia e da altri Stati.
È invece mancata una presa di posizione da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, in presenza di una situazione grave che ha tutti gli elementi per essere qualificata come minaccia alla pace, come in passato per l’ebola. Nel Consiglio di sicurezza non solo ogni deliberazione, ma perfino la discussione formale della pandemia è resa impossibile dal confronto fra Cina e Stati Uniti. Prese di posizione da parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite vi sono state, ma soltanto di tipo soft: l’appello del Segretario generale per un cessate il fuoco globale del 23 marzo 2020 e la risoluzione dell’Assemblea generale “Global solidarity to fight the coronavirus disease 2019”, adottata all’unanimità il 3 aprile 2020, secondo cui le NU coopereranno strettamente con l’Oms, in particolare sull’impatto sociale e la risposta economica.
L’Unione europea non ha competenza in materia di sanità pubblica e dunque non può prescrivere regole specifiche. Ma la dimensione sanitaria è solo una delle dimensioni della crisi, che investe la libertà di circolazione ma anche la sussistenza delle persone e tutti gli aspetti del sociale: l’educazione, le diseguaglianze anche di genere etc. Gli strumenti economici ad oggi messi in piedi dalla Commissione europea e dalla Banca centrale europea sono quelli che ad oggi hanno avuto maggiore visibilità e che dovrebbero concretizzare il principio di solidarietà fra gli Stati membri dell’Unione.
Un altro esempio viene dal mio corso di Diritto dell’arbitrato internazionale, che ha tenuto conto di come la pandemia abbia “paralizzato” tutte le procedure in corso, così come le conosciamo, non solo sul piano nazionale ma anche internazionale. Non vi è istituzione arbitrale che nell’arco di poche settimane, a volte giorni, non si sia dotata di regole e procedure nuove per lo svolgimento on line e da remoto delle udienze, in tutte le sue fasi, comprese quelle delicate dell’audizione di testimoni ed esperti.
C’è stata occasione per parlare di diritti umani in questo tempo di restrizioni della libertà individuale?
I diritti umani sono ovviamente al centro della crisi attuale, anche se nel dibattito pubblico non se n’è parlato abbastanza. Vi sono diritti umani inderogabili che lo Stato ha l’obbligo di non limitare, ma anche di realizzare positivamente (penso al diritto alla vita e al diritto alla salute). Qui si può trovare anche il fondamento di un vero e proprio obbligo internazionale degli Stati a cooperare per il contenimento dei contagi, le terapie e la ricerca di un vaccino. Per garantire questi diritti, i così detti diritti derogabili (la libertà di movimento, di culto, di associazione etc.) possono subire delle limitazioni come quelle imposte con le misure di lockdown. Di questo rapporto fra l’emergenza coronavirus e i diritti umani si è parlato pochissimo. Eppure, vi è un problema di rispetto delle garanzie costituzionali ma anche degli obblighi internazionali, in particolare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Molti Stati, come Albania, Armenia, Estonia, Georgia, Romania, San Marino e Serbia, hanno formalmente notificato a Strasburgo di avvalersi della facoltà di deroga consentita dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo in presenza di una situazione di emergenza nazionale. L’Italia non lo ha fatto e credo abbia fatto bene a non farla, perché per la maggior parte dei diritti sono consentite limitazioni necessarie e proporzionate per la tutela della sanità pubblica. Ma – mi chiedo – è stata una scelta consapevole?
Come l’esperienza di questa pandemia ha cambiato e cambierà l’approccio al suo lavoro?
Con i colleghi e le colleghe del collegio di Giurisprudenza, ma anche del corso di laurea magistrale in Economics in cui tengo il corso di International Economic Law, abbiamo avuto un primo confronto. Tutti condividiamo che il lavoro è cambiato ed anche aumentato, perché eravamo preparati per altro. Abbiamo dovuto ri-preparare i materiali, così come il modo di fare lezione e il confronto con gli studenti. Ma credo anche che sia l’essenza del nostro lavoro, re-inventarci sempre per dare ai nostri studenti e studentesse il meglio della nostra conoscenza ed esperienza. E abbiamo avuto l’aiuto e il supporto di tutta la governance di Ateneo, in particolare dei Presidenti di collegio che hanno svolto un ruolo fondamentale in tutta la fase dell’emergenza, dei tecnici informatici e del personale delle unità didattiche. L’emergenza coronavirus è un evento epocale che certamente ha travolto le modalità di didattica tradizionale, ma ci lascerà anche con nuove competenze, una ricchezza del nostro Ateneo per gli anni futuri.