UniVerò è il Festival del placement, voluto dall’università di Verona per essere una bussola per l’orientamento dei giovani nel mondo del lavoro, con particolare attenzione alle nuove professioni. Giunto quest’anno alla sua sesta edizione, UniVerò Digital 2020, promosso dall’ateneo scaligero in collaborazione con Esu Verona e sostenuto da Unicredit, si è svolto in unico appuntamento con una veste innovativa, adattandosi alla situazione attuale di emergenza sanitaria. Martedì 6 ottobre, in streaming in diretta sul sito del giornale L’Arena, si sono alternati numerosi interventi a distanza creando un confronto di idee reso interattivo da quesiti posti dagli utenti attraverso l’invio di messaggi WhatsApp. A condurre gli interventi Mario Puliero, direttore di Telereana.
Il Festival si è aperto con l’auspicio del Magnifico Rettore, Pierfrancesco Nocini, di una sempre più stretta collaborazione e interconnessione necessaria tra università e le realtà lavorative. «L’università deve scendere in campo, integrarsi perfettamente con il terreno del lavoro. I giovani devono frequentare, prima della loro laurea, le varie aziende per poter rendersi conto della correttezza o meno della loro scelta». Il Rettore ha proseguito parlando della possibilità offerta dal decreto ministeriale del 12 agosto scorso agli atenei italiani di istituire lauree professionalizzanti. «Siamo in procinto di avviare questo tipo di lauree e siamo tra i primissimi atenei a farlo. Questa scelta ha l’obiettivo di aiutare i giovani a inserirsi rapidamente nel mondo del lavoro. È una grande sfida, che abbiamo voluto raccogliere».
Dopo i saluti introduttivi di Francesca Zivelonghi, presidente dell’Esu Verona, è intervenuto Tommaso Dalla Massara, direttore scientifico di UniVerò, che ha ricordato come lo scambio e confronti di diversi pensieri necessari per pensare il futuro nelle mani dei giovani: «Univerò è nato sei anni fa per dare risposta alla necessità di incontro tra domanda e offerta e come momento di comunicazione sulle grandi idee, che arrivano dai nostri ospiti, sempre in dialogo con il territorio».
Giulio Tremonti, già ministro dell’Economia, ha aperto il tavolo della discussione delineando l’attuale quadro in cui la pandemia ha ridotto il software della globalizzazione ed ha portato ad una svolta storica. La crisi derivata dalla globalizzazione è anche dovuta all’aver voluto concentrare un cambiamento così forte in un tempo così breve. Si ha la possibilità di riflettere su cosa è stato e su ciò che verrà. Il particolare tempo di crisi è un’occasione per riflettere su come innovare il campo della formazione. «La pandemia – ha spiegato Luigina Mortari, docente di Pedagogia generale e sociale – ha messo in luce una carenza nel processo formativo quando c’è un’emergenza quello che si evidenzia è subito l’inadeguatezza di una formazione a senso unico e l’incapacità di affrontare il nuovo». «L’imprevisto va affrontato in team. Le squadre di lavoro hanno funzionato in ambito sanitario quando le persone coinvolte hanno dimostrato capacità di collaborazione».
C’è l’insoddisfazione da parte dei giovani che spesso decidono di partire per costruirsi un futuro migliore. Olivia Guaraldo, docente di Filosofia politica, è intervenuta ricordando come molto spesso «l’entusiasmo dei giovani per il sapere, per la costruzione di un avvenire ed una carriera viene soffocato di fronte alle difficoltà che incontrano nell’incanalare le loro energie intellettuali dopo il percorso universitario».
Sono seguiti gli interventi di Bruno Giordano, vicepresidente di Confindustria Verona, Antonio Uricchio, presidente dell’Anvur, l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca e Maurizio Beretta, responsabile degli Affari istituzionali dell’Unicredit, i quali hanno tutti concordato con la necessità di una visione innovativa.
Donata Gottardi, prorettrice dell’ateneo, ha infine esortato all’importanza di un cambiamento di prospettiva. «La ricerca deve avere uno sguardo che metta insieme la componente umanistica con la componente scientifica, la componente scientifica con quella umanistica. Non possiamo più tenere questi steccati di diversità. Si deve provare anche con le valutazioni della ricerca ad incrementare le possibilità di contaminazione tra umanisti e scienziati facendo in modo che la ricerca sia ancora di più utile a ciascuno di noi».