È come per l’attentato alle Torri Gemelle. Ognuno di noi probabilmente ricorda perfettamente cosa stava facendo quando è stato raggiunto dalle prime notizie, tra stupore e terrore.
Era l’11 dicembre 2018, io stavo assistendo a un evento istituzionale in un bellissimo teatro cittadino, circondata dalla bellezza di decori e velluti… un messaggio sul cellulare e il mondo è cambiato.
Lui, che è passato anche dal nostro ateneo come studente e di sfuggita anche dalla nostra radio studentesca, Fuori Aula Network, è stato colpito alla testa. Lui, che personalmente ho conosciuto poco ma lo ricordo come sorridente e appassionato, con una vocazione innata, un talento potente per il giornalismo, è in ospedale. A Strasburgo.
C’è stato un attentato, un altro, l’ennesimo. Leggo il tam tam di notizie su tutti i siti e iniziano ad arrivare le prime telefonate e messaggi dai ragazzi della rete delle radio universitarie, da Raduni.
La paura, il raccapriccio, la rabbia si fanno spazio insieme alla speranza che tutto vada per il meglio per lui ma anche per chi era con lui.
In quegli anni, infondo a pensarci bene solo due anni fa, la paura più grande non era un virus infettivo ma un virus sociale, politico, religioso che di morti ne ha fatti anch’esso tanti.
E uno di questi, pochi giorni dopo, il 14 dicembre, per l’esattezza si chiama Antonio.
Antonio Megalizzi. Il “Mega”. Antonio il grande.
Il “Mega” non ce l’ha fatta e in questi giorni lo ricordiamo ma il pensiero è strano perché sembra quasi che non sia mai scomparso. Grazie alla passione e all’amore della sua famiglia, di Luana la compagna di vita, delle decine e decine di redazioni universitarie, che si sono prima riunite a piangere la sua morte, e poi a rinvigorire la sua memoria portando avanti quello che Antonio amava di più: il pensiero di un’Europa unita e forte. L’Europa delle opportunità e delle occasioni, delle porte aperte e delle condivisioni.
“Non è facile raccontare Antonio. Non è facile contenere in poche righe la sua curiosità, la sua attenzione e la sua luminosa intelligenza. La radio, ciò che ci ha fatto incontrare, è leggera nella presenza e nel linguaggio, così leggera che si sente ovunque, ma non si vede – ricorda oggi Caterina Moser, già studentessa di Univerona e redattrice di Fuori Aula era con Antonio, quel maledetto 11 dicembre, e si è salvata – e Antonio era così: sapeva essere leggero nel linguaggio, non appesantiva i suoi interventi con parole superflue. Sceglieva le parole con cura. Ricordo i momenti prima delle dirette: “Hai capito quello che devi dire? Allora metti via il foglio e raccontalo a modo tuo” mi diceva. Infatti, Antonio parlava di Brexit, di bufale, di politica europea e tanto altro, ma riusciva sempre a farlo portando il suo sguardo”.
Chi lo ha conosciuto sa quanto fosse impossibile non lasciarsi trascinare dal suo carisma e dalla sua passione e “non stupisce che la sua voce e la sua storia siano arrivate a commuovere e coinvolgere tante e tanti, anche tra chi non ha avuto la fortuna di conoscerlo – continua Caterina – la Fondazione vuole farsi megafono della sua voce e del suo impegno, perché continuino ad essere sprone e fonte d’ispirazione per tante e tanti. Oggi come non mai abbiamo bisogno di quella fiducia, di quello slancio, in un mondo che cambia e che affronta sfide sempre nuove.
Al suo funerale ricordo le facce spente e quelle lacrime che stentavano a uscire dagli occhi giovani e invincibili di chi pensa di essere più forte della morte, più forte delle ragioni che hanno portato Cherif Chekatt, coetaneo di Antonio, a compiere quell’attentato tra luci e profumi di un marcatino di Natale.
La comunità dei radiofonici universitari, che chiamare famiglia è riduttivo, si è subito data da fare e oltre a portare avanti Radiophonica, la trasmissione inter-radiofonica dal Parlamento di Strasburgo per la quale Antonio viveva come fosse una figlia, hanno sempre tenuto vivo il ricordo. A Verona, in ateneo esiste un’aula che quando passi davanti alla targa luccicante ti dice che Antonio Megalizzi è ancora un po’ con noi.
E presto sarà istituito un Fondo Nazionale a suo nome, a sostegno finanziario della radiofonia universitaria che da anni dà voce a studentesse e studenti nelle redazioni delle antenne che stanno sotto l’egida di Raduni, l’associazione degli operatori radiofonici universitari di cui Antonio stesso faceva parte grazie a Europhonica,il progetto europeo che ancora oggi è forte e attivo e che porta giovani giornalisti a Strasburgo a raccontare l’Europa. Proprio come faceva Antonio.
Oggi a distanza di due anni una maratona, “Non Fermiamo Questa Voce” , di 24 ore, dalle 00 alle 23.59 di venerdì 11, aumenterà la luce dei riflettori mai spenti su Antonio e su Bartosz Orent-Niedzielski morto anche lui in quella tragedia. E permetterà di sentire alcuni scritti, letti e resi in audio dai redattori e redattrici delle radio del circuito. Anche Fuori Aula ritrasmetterà in attesa, come molte altre radio di ateneo, di tornare in studi e regie per far fluire tutte le voci possibili per una libertà di espressione preziosa e ‘nutriente’.
Quindi non fermiamo queste voci.
Mai.