Durante la pandemia Covid-19, gli alunni delle scuole medie e superiori, hanno potuto frequentare in presenza solo per pochi giorni e, per rispondere a questa problematica si è adottata la didattica a distanza; ma che effetti psicologici ha avuto questa situazione sugli adolescenti? Durante l’incontro di giovedì 11 febbraio proposto dall’università di Verona nella rassegna “Diffusioni: l’università incontra la città” si è cercato di analizzare questo fenomeno.
Nella prima fase della pandemia, il mondo si è diviso tra allarmisti e negazionisti, sia in ambito medico, che in quello politico e giornalistico. Secondo Carlo Tecce, giornalista, caposervizio e inviato de L’espresso, l’informazione non ha svolto un servizio adeguato perché bisogna “osservare, raccogliere informazioni, concatenarle ai fatti e comunicare”. I giornalisti, in questa situazione, hanno mancato di cautela e prudenza. Con lui è d’accordo Mirella Ruggeri, direttrice della sezione di Psichiatria dell’università di Verona e presidente della International federation of psychiatric epidemiology (Ifpe), ma allo stesso tempo ha affermato l’importanza che possono avere i media perché senza di loro alcuni valori di conoscenza non verrebbero diffusi.
Caterina Diani, psicologa e psicoterapeuta specializzata in età adolescenziale e collaboratrice dell’università di Verona, concorda con la professoressa Ruggeri sul fatto che bisogna educare i giovani alla pazienza e ad accettare le difficoltà, spiegandogli le componenti negative e confortandoli per gli aspetti più dolorosi. La pandemia ha accentuato dei disturbi psichici già esistenti, quindi ci si chiede “quali possono essere le conseguenze psicologiche di questa pandemia?”. “Dove ci sono dei disturbi pregressi – ha spiegato Ruggeri – le situazioni, nei peggiori dei casi, possono sfociare in tragedia. Per questo, è importante imparare a riconoscere le fragilità e intervenire trasmettendo coerenza, affidabilità e benessere psicologico”.
Caterina Diani, ha raccontato che i ragazzi hanno cambiato il loro stile di vita per rallentare la diffusione del virus, ma nonostante questo sono stati dipinti come i principali colpevoli dell’aumento dei contagi, causando una sensazione di paura, che con il passar del tempo ha finito per diventare ansia, alla quale si è sostituita la rabbia. Quest’ultima emozione può essere rivolta sia verso l’estreno che verso se stessi. Come affermava la professoressa Ruggeri “situazioni di questo tipo esistevano già da prima della pandemia ma non se ne aveva percezione perché la vita “normale” non lasciava il tempo e la voglia di riflettere, la convivenza forzata e la “reclusione” hanno fatto emergere questi aspetti”. Le relazioni sono importanti in età adolescenziale, ma ciò non significa solo essere fisicamente vicino agli altri ma soprattutto essere ascoltati, per questo, conclude Mirella Ruggeri, “dobbiamo pensare positivo e assumerci le nostre responsabilità che derivano dal nostro ruolo e dalle nostre competenze”.
La registrazione dell’incontro è disponibile sul canale YouTube di ateneo.