Scalare uno dei monti più alti d’Europa sarebbe una sfida difficile per chiunque, un’impresa apparentemente impossibile per delle persone affette da patologie o che hanno subito un trapianto d’organo. Invece, con la giusta preparazione e il supporto di centri specializzati, come il Cerism e la Scuola di specializzazione di Medicina dello sport e dell’Esercizio fisico dell’ateneo, questo è stato possibile.
Cinque persone, chi trapiantato di polmone, chi di rene, chi affetto da fibrosi cistica, sono, infatti, salite sul rifugio Capanna Margherita del massiccio del Monte Rosa, a 4554 metri di altitudine, dopo essersi sottoposti, nell’ultimo anno, a un intenso allenamento.
La spedizione, che si è conclusa domenica 18 luglio, è stata promossa dal gruppo “Guardami Adesso” di Valeria Lusztig, da Aido (Associazione italiana per la Donazione di organi, tessuti e cellule), con il supporto scientifico del Centro di ricerca Sport montagna e salute dell’ateneo (Cerism) e della Scuola di specializzazione di Medicina dello sport e dell’Esercizio fisico dell’università di Verona.
Grazie alla collaborazione tra il Cerism, diretto da Federico Schena, e la scuola di specializzazione di Medicina dello sport e dell’esercizio fisico coordinata da Luca Giuseppe Dalle Carbonare, queste persone sono state sottoposte ai controlli sanitari necessari per intraprendere l’ascesa in sicurezza: verificare il loro grado di suscettibilità al mal di montagna acuto e testare il grado di allenamento.
La preparazione monitorata da un team di esperti
I test prevedevano una visita medica e delle valutazioni da sforzo cardiopolmonari con monitoraggio elettrocardiografico, della saturazione arteriosa di ossigeno, dei lattati e della glicemia, sia in condizioni atmosferiche standard (‘normossia’) che in condizioni di quota simulata di 4200 m (‘ipossia’). Gli esami sono stati condotti da una squadra multidisciplinare composta da: Aldo Savoldelli, assegnista di ricerca del Cerism, da Gianluigi Dorelli, medico specializzando della scuola di Medicina dello sport e dell’esercizio fisico, dal neodottore di ricerca Alessandro Fornasiero e da Alexa Callovini, dottoranda del corso di Neuroscienze, Scienze psicologiche e psichiatriche.
Utilizzando i dati raccolti in laboratorio, Savoldelli, Dorelli, l’alpinista Luca Colli e una squadra di guide alpine e soccorritori della Croce Rossa Italiana, coordinati con esperienza da Luigi Vanoni, vicepresidente della Commissione centrale medica del Club alpino italiano (Cai), hanno progettato la preparazione dei cinque pazienti-alpinisti accompagnandoli poi nell’ascesa alla Capanna Margherita, garantendo l’assistenza medica necessaria e raccogliendo le informazioni cliniche e di adattamento cardio-respiratorio alla quota.
La salita in quota
Durante la spedizione sono stati indagati, a varie altitudini, i sintomi del mal di montagna acuto e sono stati raccolti i dati della saturazione arteriosa di ossigeno e della frequenza cardiaca. Dei cinque soggetti, solo due sono riusciti a salire al Capanna Margherita (un soggetto con fibrosi cistica e uno con trapianto renale); gli altri tre si sono fermati ad altitudini minori (due soggetti a 4000 metri ed uno a 3700 metri) per sintomi legati alle basse temperature notturne. Dei due soggetti, suscettibili al mal di montagna durante i test nel laboratorio degli ambienti estremi del Cerism, il primo non ha raggiunto la quota di 4556, mentre il secondo ha completato l’ascesa accusando sintomi lievi, comparsi un’ora dopo aver raggiunto la massima quota e scomparsi due ore dopo la discesa, a quota 3498, senza necessità di trattamento farmacologico.
Tra i soggetti “fragili” e i controlli “sani” non ci sono state differenze significative di saturazione arteriosa e frequenza cardiaca alle varie altitudini. Il costante miglioramento della medicina ha permesso a molti dei pazienti trapiantati e con fibrosi cistica di dedicarsi anche ad attività fisiche intense come l’alpinismo. La necessità di coniugare una valutazione medico-sportiva e una valutazione di adattamento alla quota diventa sempre più importante per garantire a queste persone un’attività il più possibile sicura.
Queste valutazioni sono anche il frutto dell’unione di competenze provenienti da due scuole dell’Università di Verona (quella di Scienze motorie e quella di Medicina dello sport) insieme a quelle di professionisti sanitari dell’ambiente montano (commissione medica del Club alpino italiano e Guide alpine): valutazioni che i laboratori del Cerism, eccellenza del nostro ateneo non solo per le attività sportive, riescono a fornire con qualità e tempestività coniugandole con le attività di ricerca utili alla messa a punto di modelli di training che tengono conto della risposta specifica anche di popolazioni fragili, per la promozione dell’attività fisica in ambiente montano.