‘Kanaky en deuil. Pas de vote’. Sentiamo poco parlare degli stati insulari dell’Oceania sui media nazionali, se non in occasione di disastri naturali o di eventi eclatanti, altrimenti non fanno notizia. Siamo alla vigilia del terzo e ultimo referendum sull’accesso alla piena sovranità e indipendenza in Nuova Caledonia e non se ne parla.
L’arcipelago è impegnato in un processo di decolonizzazione, sancito dall’Accordo di Noumea (1998), che si concluderà col prossimo referendum, inizialmente previsto entro la fine del 2022. Le politiche di rivendicazione portate avanti dai kanak (popolazione indigena dell’arcipelago) e la scelta di dialogare con le controparti caldoche (discendenti dai coloni francesi) e metropolitana hanno permesso di avviare un percorso innovativo a partire dagli Accordi di Matignon (1988), che riflette nuovi e inediti immaginari di sovranità nel solco di un percorso che punta all’inclusività delle varie comunità che vivono nel Paese e che non prevede il ricorso alla violenza.
Infatti la Nuova Caledonia, colonia penale e successivamente colonia di popolamento, ha visto una massiccia immigrazione incoraggiata dalla Francia che ha reso i kanak minoritari nel loro paese: oggi costituiscono poco più del 39 % della popolazione. L’esperienza di un percorso di decolonizzazione pacifica rischia però di essere rimessa in gioco dal prossimo referendum a cui i kanak non participeranno.
Se i due precedenti referendum (2018 e 2020) avevano visto un’altissima partecipazione dei Kanak e un aumento del Sì al quesito referendario, questa volta lo scenario è completamente diverso. Nel 2018, nonostante tutti i sondaggi sulla stampa nel Paese e in Francia dessero il NO a oltre il 70% e il SI al 25/30% evocando scenari catastrofici per alimentare la paura tra le elettrici e gli elettori, il risultato è stato del tutto inaspettato: il SI’ ha ottenuto quasi il 44%. Due anni dopo ha raggiunto il 47% riducendo il margine di coloro che volevano mantenere il Paese nell’ambito della Repubblica francese.
Nonostante il governo francese nell’ottobre 2019 avesse dichiarato che la data del terzo e ultimo referendum (come previsto dall’Accordo di Noumea) si sarebbe collocata dopo agosto 2022 – per evitare sovrapposizioni con le elezioni presidenziali francesi – in giugno di quest’anno è stata invece unilateralmente stabilita per il 12 dicembre 2021, senza tenere in conto la parola data e la contrarietà dei partiti e raggruppamenti indipendentisti kanak.
Nel frattempo, da settembre 2021 è dilagata la pandemia (variante delta); sino a quel momento il paese era rimasto fondamentalmente al riparo dal virus. La situazione sanitaria sta migliorando, ma i kanak in questo periodo sono alle prese con le complesse cerimonie funebri che richiedono tempo e assorbono molte energie. Impossibile immaginare una campagna elettorale nei numerosi villaggi dell’arcipelago in una situazione di crisi e di lutto. A ottobre il FLNKS (Fronte di liberazione nazionale kanak socialista) ha invitato alla non partecipazione al voto qualora la data del 12 dicembre fosse stata mantenuta. Poco meno di un mese fa il governo francese ha ribadito che la data sarebbe stata mantenuta.
È importante sottolineare la scelta linguistica attuata dal movimento indipendentista che, volutamente, non ha fatto ricorso al termine boicottaggio, come era avvenuto negli anni Ottanta, ma ha preferito fare campagna per la ‘non partecipazione’ al referendum, proprio per rivendicare la propria posizione con grande responsabilità, denunciare con forza la parola non rispettata da parte della Francia e al contempo rivendicare una via pacifica all’indipendenza.
‘Kanaky en deuil. Pas de vote’ recita un enorme striscione realizzato a Ponérihouen, comune della costa est dell’isola principale, uno tra i tanti. Numerosi gli interventi di specialisti della storia e della società kanak che dalle pagine di quotidiani, tra cui Le Monde che ha ospitato diversi di questi contributi, hanno cercato di spiegare la posta in gioco invitando il governo francese a posticipare la data al 2022; tra questi anche una lettera aperta di una sessantina di ricercatori e ricercatrici che conoscono da vicino il contesto caledone. Il rischio di un referendum sul futuro politico del paese senza la partecipazione dei kanak è molto alto, potrebbe far riaccendere la miccia e radicalizzare le posizioni in campo, e rievoca scenari legati agli eventi del 1984-88 quando Kanaky-Nuova Caledonia è stata sull’orlo di una guerra civile.
Anna Paini, docente di Antropologia culturale del dipartimento di Culture e Civiltà
photocredits: campagna elettorale per il 1 referendum del 2018, Anna Paini