È possibile “prevenire” l’Alzheimer già nell’adolescenza? È questa una delle domande alla base dello studio “Early enriched environment to prevent transgenerational effects of prenatal stress in Alzheimer’s Disease”, coordinato da Marco Cambiaghi, ricercatore di Fisiologia del dipartimento di Neuroscienze, biomedicina e movimento e finanziato dall’associazione italiana ricerca Alzheimer AirAlzh Onlus.
L’obiettivo di questo progetto è duplice: indagare come gli eventi stressanti vissuti nel periodo prenatale possono influenzare sia la progenie sia la generazione successiva nello sviluppo della malattia di Alzheimer, e studiare l’effetto preventivo di un intervento precoce attraverso un cambiamento nello stile di vita in fase adolescenziale. Si andrà quindi a valutare l’effetto positivo di un ambiente arricchito dal punto di vista sociale, motorio e sensoriale in età adolescenziale nel modello di Alzheimer, con l’ipotesi che questo possa contrastare quello negativo dello stress prenatale. A tale scopo, in prima e seconda generazione, ci si focalizzerà particolarmente sullo studio del comportamento cognitivo ed emotivo e della neuropatologia che ne è alla base.
Lo studio di Cambiaghi è tra i 6 progetti di ricerca di base e di ricerca clinica italiani finanziati attraverso il bando Agyr2021 di AirAlzh, onlus che promuove su scala nazionale la ricerca medico-scientifica sulla malattia di Alzheimer. L’associazione stima che ci siano 600mila persone colpite dalla malattia e, a causa dell’invecchiamento della popolazione, entro i prossimi 30 anni i casi triplicheranno e nel 2050 si arriverà a una media di una persona su 85. I sintomi compaiono quando il quadro istopatologico è già compromesso, perciò lo scopo dei grant promossi da Airalzh è di “cercare di rallentare la malattia di Alzheimer, diagnosticandola in anticipo e puntando sul ruolo chiave della prevenzione”.
“L’aspetto preventivo è di cruciale importanza nella malattia di Alzheimer – spiega Cambiaghi – e le informazioni precliniche sulla neurobiologia alla base di una patologia così complessa sono fondamentali non solo per comprenderne meglio i meccanismi ma anche per sviluppare terapie efficaci. Capire quanto lo stress prenatale potrebbe influenzare lo sviluppo della malattia in un soggetto geneticamente predisposto all’Alzheimer in prima e seconda generazione è alla base di questo progetto, così come la possibilità di un intervento precoce nell’andare a contrastare questo meccanismo deleterio. L’ambiente può quindi essere un fattore di rischio, se pensiamo all’inquinamento o altre forme di stress, ma anche un’efficace terapia se pensiamo ad un contesto stimolante”.