“Il linguaggio è un fenomeno non solo innato ma anche di natura culturale: ognuno di noi cresce ed impara acquisendo la lingua spontaneamente dall’ambiente che lo circonda, assimilando una visione del mondo e una normalità linguistica singolare. È quindi vero che ognuno può esprimersi come preferisce, ma è anche necessario un certo grado di consapevolezza sul perché questa o quella forma sia per noi migliore”. Così spiega Stefania Cavagnoli, docente di Linguistica applicata e Glottodidattica all’università Tor Vergata di Roma, ospite del dipartimento di Scienze giuridiche il 10 maggio durante la giornata “Linguaggio, diritti e discriminazioni di genere” che ha preso il via dalla lettura del saggio “Sessismo”, scritto a quattro mani con Francesca Dragotto, docente di Linguistica generale e Sociolinguistica all’università Tor Vergata di Roma.
Dopo i saluti di Olivia Guaraldo, delegata del Rettore al Public Engagement, Stefania Cavagnoli ha dialogato con i docenti dell’ateneo scaligero Alessandra Tomaselli, docente di Lingua e traduzione tedesca, Stefano Catalano, docente di Diritto costituzionale e componente del Cug, Donata Gottardi, docente di Diritto del lavoro e già prorettrice vicaria di ateneo e Francesco Palermo, docente di Diritto pubblico comparato d’ateneo. A moderare l’incontro è stata Elisa Innocenti, giornalista dell’Area comunicazione di ateneo.
“Ha senso oggi parlare di sessismo – si chiede Innocenti, introducendo uno dei tanti quesiti che si pone Cavagnoli nel volume- quando si tratta di un argomento così radicato culturalmente come la lingua? La soluzione, nonostante il tema sia da molto tempo al centro del dibattito istituzionale e civile, non è ancora stata trovata. Forse, allora, il punto di partenza potrebbe trovarsi in una generale presa di responsabilità nell’attenzione alle parole che usiamo quotidianamente: queste non sono mai neutre ma raccontano sempre il nostro modo di pensare”.
“La cosa più improntante di questo volume – afferma Tomaselli – è sicuramente la spinta che viene data alla riflessione sulla consapevolezza delle conseguenze di un utilizzo determinato del linguaggio e di quanto questo non sia da dare per scontato. Confrontarsi e discutere sull’uso di una lingua viva e in mutamento è già di per sé un passo avanti, proprio come lo è il valore che viene dato alla proposta di soluzioni senza prescrizione, consapevoli che il processo potrebbe avere, nella migliore delle ipotesi, un tempo medio-lungo di assimilazione”.
“Che la rappresentazione della società e il linguaggio siano discriminatori e sessisti è un fatto reale appurato da diversi studi – continua Catalano riferendosi ad un passaggio del volume – Ma ancora più vero è come la percezione della lingua, anche quella giuridica, preferisca il maschile al di sopra di qualsiasi forma: su questo giuristi e linguisti devono e possono fare qualcosa assieme partendo da esempi virtuosi da ricercarsi in ambiti come la scuola, la famiglia e la stampa”.
“Credo sia necessario capire – afferma Gottardi – quale sia il modo migliore per lasciare un segno significativo su una società in profondo e continuo mutamento come quella di oggi. Vedere il mondo attraverso gli occhiali della propria lingua, esperienze e tradizioni è una modalità interpretativa che si riflette sempre più anche nella costruzione degli algoritmi informatici delle intelligenze artificiali che, come sappiamo, stanno diventando sempre più centrali nella nostra vita quotidiana”.
“Il tema del linguaggio di genere relazionato alla cultura è molto più ampio del solo aspetto del sessismo – conclude Palermo – riguardando anche tutte quelle diversità che non vengono raffigurate dall’espressione linguistica. In questo senso, per il giurista, quando il linguaggio si fa diritto, la discriminazione implicita nelle parole diventa normativa, creando così precedenti pericolosi nel campo giuridico”.
Angela Vettorato, tirocinante UniVerona News