Nel motivare il conferimento, pochi giorni fa, del premio Nobel per la letteratura all’ottantaduenne scrittrice francese Annie Ernaux, l’Accademia svedese ha sottolineato “il coraggio e l’acutezza clinica” con cui i suoi testi intrecciano “vincoli collettivi” e “memoria personale”. Interrogare, contestualizzandola e mettendola in comune, la propria esperienza di donna, di figlia, di moglie, di madre, di amante, di cittadina e di intellettuale: in questo risiede infatti la cifra dell’auto-socio-biografia praticata da Annie Ernaux, in particolare a partire dai libri dedicati al padre (La Place, 1983: Il posto) e alla madre (Une femme, 1987: Una donna) che l’hanno resa celebre in Francia e, progressivamente, all’estero. Una scrittura dell’io, la sua, dove la soggettività tende a dissolversi, come accade in Les Années (2008: Gli anni), nell’impersonalità della memoria collettiva. Écrire la vie – Scrivere la vita: la sua, certo, nella sua singolarità, ma non solo sua e soprattutto non in quanto straordinaria, bensì in quanto rappresentativa di dinamiche sociali che trascendono e plasmano l’individuo – si intitola infatti la raccolta del 2011 che si apre con un diario fotografico e che riunisce un’ampia selezione dei suoi oltre venti volumi.
Si tratta perlopiù di racconti volutamente scarni e fattuali, che procedono per scene e immagini, accumulando dettagli concreti quali pezze d’appoggio della memoria materiale e operando nel vissuto degli intagli per mezzo di una scrittura che l’autrice stessa paragona a un coltello: una scrittura asciutta, programmaticamente accessibile e refrattaria all’artificio, al pathos, al lirismo. Ai racconti si affiancano talora, pubblicati a posteriori, i relativi diari (sulla morte della madre malata di Alzheimer o sulla passione erotica), ma anche le raccolte di impressioni annotate sui mezzi pubblici di trasporto o nel supermercato del centro commerciale di Cergy-Pontoise, alla periferia nord-ovest di Parigi. A più riprese e da prospettive differenti, Annie Ernaux torna sulla propria traiettoria di transfuga che da un ambiente famigliare modesto e provinciale, di origini contadine e operaie, la conduce, grazie alla frequentazione delle “scuole alte” incoraggiata dalla madre, verso l’attività di insegnante di Lettere nei licei e di scrittrice. Influenzata dalle analisi del sociologo Pierre Bourdieu sull’inconscio di classe, la scrittrice mette in rilievo, ad esempio in La honte (1997: La vergogna), gli ambivalenti sentimenti di rivalsa e di tradimento, di duplice (non) appartenenza che la migrazione sociale comporta, dando voce allo stesso tempo, dall’interno, a un mondo di dominati spesso dimenticato in letteratura o filtrato da uno sguardo distaccato, condiscendente. Sebbene, secondo una sua espressione spesso citata, questa “etnologa di se stessa” situi il proprio scrivere “al di sotto della letteratura”, essenzialmente letterario si rivela il suo problematizzare sia lo scarto tra il passato evocato e il presente dell’evocazione che il potere, sempre parziale e tuttavia salvifico, della parola: “A che scopo scrivere” – si legge in Mémoire de fille (2016: Memoria di ragazza, traduzione di Lorenzo Flabbi, L’orma editore, 2017) – se non per disseppellire cose, magari anche una soltanto, irriducibile a ogni sorta di spiegazione – psicologica, sociologica o quant’altro –, una cosa che sia il risultato del racconto stesso e non di un’idea precostituita o di una dimostrazione, una cosa che provenga dal dispiegamento delle increspature della narrazione, che possa aiutare a comprendere – a sopportare – ciò che accade e ciò che facciamo.”
Se le aule universitarie sono luoghi dove percorsi di trasformazione personale e di emancipazione socio-culturale analoghi a quello di Annie Ernaux costantemente si snodano e si intersecano tra loro, piace constatare l’interesse che i suoi scritti, spesso inseriti nei programmi di tutti i nostri corsi di laurea, suscitano in studentesse e studenti. Un interesse dettato dai temi trattati, sia intimi che di impatto collettivo, dalle implicazioni politiche dell’opera, come attestano le prese di posizione pubbliche dell’autrice (da ultimo in difesa dell’aborto, sui cui verte il libro da cui è tratto il film Leone d’Oro all’ultima Mostra del cinema di Venezia), ma anche dall’attenzione riservata al concreto e all’ordinario, al corpo e alla cultura popolare. Un interesse, inoltre, che spesso si dimostra durevole, spingendo non poche laureande ad approfondire, fino a esaurimento degli argomenti assegnabili, lo studio dell’opera di Annie Ernaux nella loro tesi e persino – è capitato – a ripercorrere i suoi passi, a visitare i luoghi che descrive. Ma, come recita il titolo di uno dei suoi libri-intervista (Le Vrai Lieu, 2014), il “vero luogo” è la pagina sulla quale la scrittrice incide con precisione chirurgica la “verità sensibile” dell’emozione provata, senza tuttavia occultare la distanza incolmabile che separa la sensazione vissuta dalle parole che, a distanza di anni, la recuperano e la restituiscono, al fine di elucidarla e condividerla.
Rosanna Gorris, Stefano Genetti, Laura Colombo, Paola Perazzolo, Riccardo Benedettini, docenti di Letteratura francese nel dipartimento di Lingue e letterature straniere