L’11 giugno 1992, tramite uno scambio di note tra il governo italiano e quello austriaco, si chiuse la questione altoatesina sollevata davanti all’Onu all’inizio degli anni Sessanta, un decennale conflitto politico e diplomatico che aveva appunto come oggetto l’Alto Adige-Südtirol. In occasione di questo anniversario, le ambasciate d’Italia e d’Austria in Kosovo, in collaborazione con l’università di Pristina, hanno organizzato una conferenza pubblica nella Biblioteca Nazionale della capitale kosovara, con l’obiettivo di stimolare la ricerca di soluzioni per la questione della minoranza serba in Kosovo, tornata di stretta attualità a causa della cosiddetta “crisi delle targhe”, causa di tensione tra le nazioni balcaniche nelle ultime settimane. In tal senso, tanto gli organizzatori quanto i relatori hanno auspicato che la storia della questione sudtirolese possa fornire elementi di ispirazione ed emulazione per instaurare un dialogo proficuo tra il governo centrale e la minoranza serba, evitando una possibile escalation violenta.
Nel corso dell’incontro, moderato da Arben Hajrullahu, docente dell’università di Pristina, e aperto dai saluti degli ambasciatori Christoph Weidinger e Antonello De Riu, si sono succeduti sul palco due relatori: Giovanni Bernardini, docente di Storia contemporanea dell’università di Verona, e Helmut Tichy, ambasciatore e docente universitario austriaco. Il primo ha ripercorso la storia del conflitto per l’Alto Adige, ricordando come la sua soluzione abbia richiesto tempo, uno sforzo di innovazione delle parti e il coinvolgimento delle istituzioni internazionali, tutti elementi che dovrebbero caratterizzare anche la soluzione della questione relativa al Kosovo. Il secondo si è soffermato sugli aspetti giuridici dei vari accordi internazionali e statuti regionali che hanno contribuito alla soluzione del problema sudtirolese.
“La lezione principale che deriva dal caso sudtirolese” – spiega Giovanni Bernardini – “è che ogni conflitto di natura etnica deve trovare soluzioni innovative di problemi concreti e reali piuttosto che a un modello esterno che non può essere tradotto e applicato direttamente”. “La seconda lezione” – prosegue il docente dell’ateneo veronese – “è che il contesto, la comunità internazionale può avere un ruolo fondamentale nel promuovere vantaggi per tutti gli attori coinvolti nell’arrivare a una soluzione pacifica delle controversie”.
All’incontro hanno assistito circa duecento persone, tra cui rappresentanti dei ministeri degli Esteri e della Difesa kosovari, nonché dell’esercito, della stampa e di numerosi think tank locali impegnati nel dialogo e nella soluzione pacifica dei problemi con le minoranze.