Nemmeno nella morte poteva Silvio Berlusconi affrancarsi da quelle caratteristiche di imprevedibilità e spettacolarizzazione che ne avevano caratterizzato la vita: i colpi di scena (la “discesa in campo” del 1994, il “discorso del predellino” del 2007), i cambi repentini di tattica, lo stesso armamentario di battute e gaffe, spesso insopportabilmente sessiste e omofobe, che lo rendevano così detestabile agli occhi degli oppositori e “inadatto a governare” (unfit to rule) a quelli della stampa estera, ma che lo facevano sentire così vicino ai suoi estimatori—tutto questo si è susseguito con vorticosa continuità negli anni della sua lunga stagione politica. Berlusconi ha dato il nome al “berlusconismo”, categoria proteiforme che unisce aspetti antropologici, etici, sociologici, politici e comunicativi, per certi versi antesignana del populismo, eppure più sfuggente e complessa rispetto ad esso, e che un volume curato da alcuni docenti dell’Università di Verona e pubblicato nel 2010, Filosofia di Berlusconi, aveva cercato di approfondire e interpretare.
Fenomeno internazionale e insieme arci-italiano, Berlusconi da un lato ha incarnato ed estremizzato la “società dello spettacolo” profetizzata da Guy Debord, dove la spettacolarizzazione della vita si sostituisce alla vita vissuta perfino nella morte, come bene dimostrano i timori sulla “santificazione” di un leader tra i più controversi della storia nazionale, e la sorpresa per la scelta senza precedenti di proclamare il lutto nazionale. Dall’altro, ha indubbiamente incarnato aspetti della società e del carattere italiani che noi stessi fatichiamo ad accettare o, al contrario, sui quali amiamo indugiare, finendo però per non guardarci mai dentro e capire una buona volta chi vogliamo essere. Questi caratteri Berlusconi li ha saputi esasperare spregiudicatamente in senso caricaturale, come era già accaduto ad opera di grandi icone artistiche nazionali come Totò e Alberto Sordi, traghettandoli però dal grande schermo direttamente in Parlamento e a Palazzo Chigi. Ha anche saputo far sua, seguendola fino al cinismo, la massima di Oscar Wilde, per cui “non importa come si parli di me, basta che se ne parli”, ma riveduta e corretta alla luce della pervasività propria alla pubblicità, su cui si fondano il suo impero mediatico e l’economia dei consumi, ed elevandola a criterio della politica, contribuendo in questo modo prima di ogni altro a costruire quella civiltà della polarizzazione che ormai caratterizza quasi tutte le società occidentali. Seduttore strabico, capace sì di prendere un’intera nazione nella rete del proprio incantesimo, ma commettendo un errore imperdonabile per ogni vero Don Giovanni che si rispetti—essere un seduttore ossessionato dall’idea di essere amato a tutti i costi—Berlusconi, con la sua scomparsa, pone probabilmente fine alla stagione politica nota come “Seconda Repubblica”, di cui fino all’ultimo è stato il controverso mattatore.
Di Carlo Chiurco, docente di Filosofia morale all’università di Verona.