Si è conclusa la campagna di scavi promossa e finanziata dall’università di Verona e dal Comune di Prignano Montebaranzone. Di seguito l’editoriale di Nicola Mancassola, archeologo dell’ateneo, che ha seguito il lavoro.
Montebaranzone è un piccolo paese nell’Appennino modenese. Spicca la chiesa parrocchiale, costruita nel 1600 e riedificata nel 1800 e il borgo storico che si sviluppa dal piano fino alle pendici del colle che domina l’insediamento. Sulla sommità nulla rimane del castello, i cui ruderi si trovano nascosti all’interno della fitta vegetazione. Oggi luogo fuori dai principali itinerari, nel Medioevo aveva una grande importanza. A più riprese Matilde di Canossa, qui riunì i suoi fedeli e amministrò la giustizia e qui rimase tra il giugno e il luglio del 1114, quando una malattia la costrinse ad un periodo di riposo.
Anche dopo la morte di Matilde questa fortezza mantenne un ruolo di primo piano nelle vicende del Comune di Modena e nell’affermarsi della signoria estense. Fu solo nel Rinascimento che, prima le strutture militari, poi la chiesa di San Michele, lentamente ma inesorabilmente, vennero abbandonate, fino ad essere inglobate dal bosco.
Data l’importanza del sito, il dipartimento di Culture e civiltà, con il supporto dell’Ateneo (Joint Research) e del Comune di Prignano, nell’estate di quest’anno, ha intrapreso uno scavo archeologico sulla sommità del colle dove sorgeva il castello. Allo scavo, diretto da Nicola Mancassola, docente di Metodologia della ricerca archeologica dell’ateneo scaligero e di Elisa Lerco, docente di Archeologia cristiana e medievale di Ateneo, hanno partecipato numerosi studenti sia dell’ateneo veronese, sia di altre università italiane, che proprio in questa occasione hanno iniziato a muovere i primi passi nel mondo della ricerca archeologica sul campo.
I risultati sono stati di grande interesse e hanno finalmente riportato alla luce i resti del castello medievale. Buona parte del colle risulta difesa da una cinta muraria che demarca lo spazio militare dal resto dell’insediamento.
Appena entrati nel castello si apre un ampio pianoro nel quale gli scavi hanno messo in luce i resti di un grande edificio. Le dimensioni e la tecnica costruttiva suggeriscono che si tratti di una struttura non comune. Verosimilmente il palazzo. I piani d’uso erano in terra battuta. Sulla loro superficie sono stati rinvenuti vari reperti d’uso domestico (vasellame in ceramica grezze e rivestita), resti di pasto e qualche moneta, persa e non più ritrovata.
Lasciando alle spalle il palazzo e proseguendo all’interno del castello, si raggiunge la zona centrale. Qui lo scavo ha posto in evidenza vari resti di murature e una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana, che testimoniano come gli spazi interni alla fortezza fossero fittamente insediati.
Salendo nella parte sommitale del colle, nonostante una piccola frana, si è rintracciato il cimitero della chiesa di San Michele. Si tratta di un’area funeraria intensamente sfruttata, in cui sono emerse sepolture tardomedievali e di età moderna (XVII secolo). In queste ultime gli individui furono deposti con rosari in pasta vitrea e medagliette votive.
Per ora lo scavo si è fermato qui. Ma con il proseguimento delle ricerche nei prossimi anni, sicuramente emergeranno ulteriori strutture, che permetteranno di rendere di nuovo visibile questo castello scomparso, facendolo tornare parte viva del patrimonio culturale della comunità locale.
Contributo e foto di Nicola Mancassola