Un’ascesa ideale dagli inferi verso la luce, a riveder le stelle. È stato questo il viaggio vissuto da studentesse e studenti del corso di Pedagogia interculturale di Agostino Portera grazie all’attore, regista e scrittore Alessandro Anderloni che lunedì 22 aprile nelle aule del Palazzo di Lettere dell’università di Verona ha condotto l’incontro “Libertà va cercando. Quattro anni con Dante Alighieri e la Divina Commedia nel carcere di Verona”.
Appuntamento che ha attirato non solo la comunità accademica ma anche la cittadinanza molto affezionata all’ideatore del Film Festival della Lessinia, ospite per un pomeriggio dietro la cattedra per raccontare il suo ruolo da direttore artistico del gruppo Teatro del Montorio, grazie a immagini, suoni e testimonianze inedite tratte dallo spettacolo “Ne la città dolente” andato in scena nella casa circondariale scaligera.
Un vero e proprio percorso ideale che ha tenuto con il fiato sospeso, complice la maestria dell’uso della parola di Anderloni, complice il percorso intenso dall’inferno, definito come “gioco”, attraversando il purgatorio, definito con il termine “fatica”, fino al paradiso, il momento dell’”introspezione”.
Alessandro Anderloni porta ormai i suoi laboratori teatrali da 10 anni a Montorio, spesso anche coinvolgendo gli studenti e le studentesse delle superiori. Ed è dal 2019 che Dante ha trovato spazio nei cuori dei detenuti. «Ho capito in quel momento l’importanza di portare con sé la narrazione di una storia. In carcere non c’era la voglia di intrattenimento o di storie divertenti. Ho capito la sete di conoscenza con la lettura di romanzi classici e poi con la messa in scena della “Divina Commedia”. Parlare dell’inferno non è possibile, è come togliere la fiamma della speranza di libertà sempre accesa nell’animo del detenuto».
E quanto la presenza di una Beatrice fuori può essere motivo per sperare. «Abbiamo parlato tanto della figura idealizzata e santificata da Dante, un modo per stimolare il pensiero verso coloro che sono fuori, con tutti i rimpianti soprattutto verso le madri, le donne perse, le sorelle, i figli. Sono soprattutto i papà coloro che sono privati anche solo dall’incontro con la prole.»
La discesa all’inferno è stato un passaggio, un percorso a cui si è portati a prendere coscienza del male in se stessi. Toccare quel male permette la risalita, parlarne fa uscire la vitalità e una sorprendente ironia per sovvertire la ruota quotidiana. Un vero e proprio “gioco” che ha regalato ad Anderloni sorrisi veri.
Per Agostino Portera «è di fondamentale importanza l’uso della parola proprio perché molti disturbi psichici derivano dall’assenza di dialogo. Attraverso la cultura si porta in questo modo l’educazione in carcere, un modo per educare anche la cittadinanza coinvolta negli spettacoli dei detenuti che hanno potuto trovare soddisfazione dal proprio impegno e lavoro artistico.»