Nel cercare di comprendere le cause sottese ai violenti scontri di questi giorni in Kanaky Nuova Caledonia, arcipelago nel Pacifico sud occidentale, occorre nominare la posta in gioco: il processo di decolonizzazione dichiarato unilateralmente concluso da parte dei loyalistes (anti-indipendentisti), sostenuti dalle scelte del governo francese in seguito all’ esito dell’ultimo dei tre referendum sul futuro istituzionale del paese.
Questo terzo referendum, svoltosi nel dicembre 2021, ha visto la vittoria dei loyalistes (96% per il NO all’indipendenza), ma a fronte di una affluenza inferiore al 44% in seguito alla non partecipazione al voto degli indipendentisti. Infatti, nonostante la richiesta da parte kanak di posticipare la consultazione referendaria al 2022 perché non coincidesse col periodo di lutto legato all’epidemia da Covid, Parigi ha mantenuto la data. Gli indipendentisti non hanno riconosciuto la validità di questo referendum. Va ricordato che le due precedenti consultazioni sullo stesso quesito referendario – svoltesi nel 2018 e nel 2020 – avevano visto un’affluenza rispettivamente del’81% e del 85% con il margine di vittoria dei loyalistes che si era andato restringendo dal 56% al 53%.
La Nuova Caledonia è oggi una collectivité d’outre-mer (COM) con uno statuto particolare. Il processo di autodeterminazione è stato riconosciuto dagli Accordi di Matignon del giugno 1988 a cui è seguito l’Accordo di Nouméa del maggio 1998, che ha stabilito il quadro giuridico e politico del paese per i successivi 20 anni, comprese le tre consultazioni referendarie. I due accordi riguardavano anche misure per colmare il grande divario economico e sociale fra i Kanak e i francesi che nel corso dei decenni hanno popolato il paese (territorio dichiarato francese dal 1853, prima colonia penale e poi di popolamento).
In questo clima politico molto teso, la miccia che ha innescato i violenti disordini è stato il progetto di legge in discussione a Parigi per allargare il corpo elettorale per le elezioni provinciali (la Nuova Caledonia è suddivisa in tre Province). L’Accordo di Nouméa aveva stabilito che potessero votare solo coloro residenti nel Paese dal 1988, tenendo presente che i Kanak in seguito alla politica migratoria portata avanti negli anni 1960 e 1970 (boom del nickel) sono diventati minoritari nel proprio paese. Il nuovo testo, nel frattempo votato e approvato, e che dovrà essere adottato dalle due Camere in seduta congiunta in quanto richiede un cambiamento costituzionale, stabilisce che i cittadini con dieci anni di residenza potranno votare. Si tratta di circa 25.000 persone, su una popolazione totale del Paese che non raggiunge i 300.000 abitanti.
In Nuova Caledonia oltre alla lista generale che permette di votare per le presidenziali e le legislative francesi, per le europee e per le comunali, sono presenti altre due liste più ristrette – frutto di un accordo fra le parti che riconosceva il processo di decolonizzazione – una per il voto alle provinciali (oggetto del progetto di legge in questione) e una per il voto ai referendum per l’autodeterminazione. La posta in gioco è alta in quanto una parte delle e degli eletti nelle tre Province forma il Congrès che designa l’esecutivo locale.
I politici loyalistes e il governo francese hanno fatto ricorso a un linguaggio che richiama demagogicamente i principi della democrazia, dimenticando il contesto, le modalità consuetudinarie kanak e cancellando la memoria del confronto avviato a fine anni Ottanta del ‘900 fra le parti in causa, che aveva visto lo Stato come garante del processo di pace. L’attuale governo francese ha adottato modalità forzate per affrontare decisioni fondamentali per il futuro del Paese, imponendo scelte rigide e scadenze temporali affrettate. Fra l’altro il progetto di legge governativo ha avuto come relatore un deputato loyaliste della Nuova Caledonia, rendendo palese la posizione del governo Macron che ha scelto di schierarsi rinunciando al ruolo di garante del processo di negoziazione. Affermare che essendo nati nel paese si è a casa propria, significa non fare i conti con la storia coloniale e le specificità del processo di decolonizzazione.
Parigi ha risposto inviando reparti speciali e l’esercito per cercare di ristabilire l’ordine e proclamato lo stato d’emergenza. Gli amici kanak a Nouméa hanno paura a uscire di casa per il timore delle milizie bianche autorganizzate e armate che hanno come target i giovani kanak; sono soprattutto le donne le quali, prendendo tutte le precauzioni, escono per andare a fare la fila per acquistare qualche derrata alimentare. Occorre ricordare che la vendita delle armi è stata liberalizzata dal 2011, eliminando anche il limite sull’acquisto di munizioni all’epoca in vigore.
Uno dei luoghi comuni che circolano è quello che ritiene che i Kanak siano razzisti e che a questo loro atteggiamento vadano imputate le violenze di questi giorni. Gli atti di violenza – che hanno causato alcuni morti e centinaia di feriti, e sono stati condannati dai gruppi politici dei due schieramenti – vengono ricondotti a un conflitto ‘etnico’ dimenticando la storia coloniale, la politica di popolamento, la sottrazione di terre, le grandi disparità economiche, sempre più eclatanti.
Si parla di Nouméa distrutta dagli incendi di negozi e attività commerciali, di auto incendiate, con le strade bloccate da barricate; colpisce vedere immagini del quartiere periferico di Ducos intossicato dal fumo degli incendi e confrontarle con quelle dell’Anse Vata, il quartiere dei grandi Hotel e con appartamenti di lusso e rendersi conto che la vita (apparentemente) scorre tranquilla. Un’ulteriore testimonianza del grande divario economico e sociale che continua ad attanagliare il paese.
Anna Paini, docente di discipline demoetnoantropologiche
©明音 吉川 – stock.adobe