Il 10 febbraio è il Giorno del Ricordo, dedicato alle vittime dell’esodo giuliano dalmata. Per celebrare questa ricorrenza si è tenuto, giovedì 6 febbraio, un Consiglio comunale aperto dedicato.
In questa occasione, Giovanni Bernardini, docente di Storia contemporanea in ateneo, ha tenuto un discorso di cui riportiamo alcuni estratti.
“Questo Giorno del Ricordo assume un carattere speciale, per almeno due ragioni. La prima è che esso cade a cinquant’anni dalla firma del Trattato di Osimo del 1975, il quale, non senza importanti polemiche negli anni successivi, segnò in ogni caso una pietra miliare nella storia del confine orientale e dei rapporti tra l’Italia e la Jugoslavia (e più tardi tra l’Italia e gli stati successori di quest’ultima, oggi tutti appartenenti alla medesima Unione Europea – un orizzonte semplicemente impensabile all’epoca).
La seconda, più immediata, è che il Giorno del Ricordo fu istituito con Legge della Repubblica nel marzo del 2004: dunque, la sua prima edizione cadde l’anno successivo, esattamente vent’anni fa. Vent’anni sono un margine di tempo sufficiente per tentare qualcosa di simile a un bilancio.
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Quanto all’interesse pubblico e al suo legame con il “Giorno del Ricordo”, credo che anche in questo caso un primo bilancio non possa che dare un risultato positivo. Se è vero che, soprattutto le edizioni dei primi anni, hanno visto un eccesso di polemiche e di strumentalizzazioni, è altrettanto vero che quella “diffusione della conoscenza” invocata dalla legge ha avuto luogo e ha per così dire “normalizzato” la presenza del Giorno del Ricordo nel panorama pubblico italiano, migliorando certamente la qualità dell’informazione a riguardo. A proposito delle polemiche che citavo, è invece da salutare con grande soddisfazione la sincera volontà che io stesso – ma non sono certo l’unico – ho riscontrato nelle studentesse e negli studenti soprattutto delle scuole superiori: il desiderio, nella maggior parte dei casi ancora privo di preconcetti e di giudizi precostituiti, di capire nel merito quella vicenda, di collocarla sia all’interno della storia “studiata” sui banchi di scuola, sia, per molti, nel vissuto collettivo della propria comunità – un vissuto particolarmente forte qui a Verona, per ragioni talmente evidenti da non dover insistere oltre.
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Dopo uno sguardo al passato, però, il ventesimo anniversario può essere anche l’occasione giusta per pensare al futuro. Che destino avrà il “Giorno del Ricordo” oltre il traguardo dei suoi vent’anni? In che modo la memoria da un lato, e la ricerca storica dall’altro, possono collaborare per conferirgli sempre nuovi contenuti? […]
Viviamo una strana epoca in cui il termine “contestualizzare” viene equiparato a “ridimensionare”, “annacquare” la rilevanza di una specifica sperienza individuale e collettiva. “Contestualizzare” è invece il lavoro quotidiano delle storiche e degli storici, che spesso trovano nel confronto tra vicende lontane nello spazio e nel tempo materia per una loro più proficua indagine, e per comprenderne meglio tutti gli aspetti specifici. Inserire la vicenda dell’esodo giuliano-dalmata all’interno di uno studio più ampio del fenomeno dello spostamento forzato e violento di comunità percepite come aliene e pericolose da nuove entità statali (penso al caso storico del conflitto turco-greco alla fine della Prima Guerra Mondiale, penso alle minoranze tedesche in Europa orientale alla fine della Seconda Guerra Mondiale) non è in alcun modo una sottovalutazione della sua specificità. Al contrario, è e deve rappresentare la sua valorizzazione in un contesto più ampio in cui merita di trovare posto e di assumere ancora maggior significato storico.
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Dal “come è stato possibile”, l’ottimismo della ragione vorrebbe che facessimo uno sforzo ulteriore verso il “fare in modo che non accada più”. Su questo, tuttavia, la storia del presente ci offre ben poche ragioni di ottimismo. L’epoca delle migrazioni forzate, degli esili di massa, sembra in realtà ben lontana dal tramontare. Tra le tante cose positive che l’Europa ha esportato nel mondo, ve ne sono anche molte negative: tra queste la tentazione sempre presente da parte di autorità senza scrupoli di muovere popolazioni come si muovono le pedine di un gioco da tavolo, qualora la loro presenza sia considerata un “problema” o un “pericolo”.
Da questo punto di vista, siamo in fondo in un’epoca che sembra aver imparato ben poco dal passato, da quel passato”.
EI