Istituire un Consiglio Superiore per difendere e salvaguardare la lingua italiana.
E' questa la proposta contenuta nel disegno di legge 354 per l'istituzione del Consiglio Superiore della lingua italiana. Michelangelo Zaccarello, docente di Filologia della Letteratura italiana, è stato convocato a Palazzo Madama nei giorni scorsi, per un’audizione informale sul disegno di legge, per esprimere la sua opinione in merito.Nel suo intervento il professor Zaccarello ha posto l’accento al ruolo strategico dell’Accademia della Crusca all’interno del Consiglio e sull’importanza di agire, per quanto riguarda il linguaggio amministrativo, in continuità con iniziative già intraprese in passato.
Professor Zaccarello, come si può preservare, promuovere e difendere la nostra lingua?
Ogni popolo deve tutelare e promuovere l’uso corretto e funzionale della propria lingua, ma l’Italia ha una storia segnata da una tardiva Unificazione politica e da un marcato regionalismo; la vitalità dei dialetti rappresenta senza dubbio una ricchezza culturale, ma moltiplica i problemi della standardizzazione, anche a causa della scarsa abitudine alla lettura degli Italiani, tradizionalmente molto in basso rispetto agli altri popoli d’Europa. Quella omogenea standardizzazione linguistica che in altri paesi hanno prodotto le circostanze storiche (in Francia l’assoluta, secolare preminenza politico-culturale di un centro come Parigi, in Germania la diffusione di un testo di uso generalizzato quale la Bibbia tedesca di Lutero), difficilmente potranno ottenerla direttive di un organo superiore di controllo. Tuttavia, una più equilibrata azione di monitoraggio e di disciplina linguistica corrisponde alle esigenze di una società il cui funzionamento dipende anche da una comunicazione sempre più rapida ed efficace. Varie forme di consulenza linguistica vengono richieste in misura crescente anche dal pubblico, come dimostrano varie trasmissioni televisive già avviate negli anni Novanta, quali Abbiccì-L'ha detto la TV, realizzata da Michele Mirabella con la collaborazione del linguista Luca Serianni.
Perchè, a differenza degli altri paesi europei, in Italia si assiste a questo decadimento della lingua?
Le spinte che alterano l’uso linguistico e ne avviano il cambiamento sono storicamente le stesse: influsso di lingue straniere, di classi egemoni sul piano socio-economico, di linguaggi settoriali di particolare prestigio (oggi tipicamente l’informatica e l’high tech). E tradizionalmente molta gente non vede di buon occhio le innovazioni, specie se dettate da lingue straniere: oggi si punta il dito verso i termini presi in prestito dalla lingua inglese, ma ai tempi del Manzoni lo stesso si diceva del francese. Queste spinte evolutive non costituiscono comunque un decadimento, ma fanno parte della normale evoluzione di una lingua: si tratta di monitorare attentamente l’uso per individuare quanto davvero vi si sta affermando e distinguerlo da mode transitorie. In altri Paesi, la funzione di osservatorio dell’uso e di formulazione di un modello linguistico autorevole è stata assunta da storiche Accademie (non solo la Real Academia de la Lingua española, citata nel testo di accompagnamento al DDL 354, ma l’Académie française fondata nel 1635 dal cardinale Richelieu, o l’Opera del vocabolario inglese di Oxford). In Italia, l’equivalente naturale di tali prestigiose Istituzioni è certo l’Accademia della Crusca, che ha tuttavia storicamente ristretto il suo ruolo alla lingua letteraria, diventando nell’opinione comune sinonimo di custodia di una lingua ricercata e spesso lontana dall’uso comune.
Quale dovrebbe essere il ruolo dell'Accademia della Crusca all'interno del Consiglio superiore della lingua italiana?
Il testo del Ddl 354 propone che l’Accademia della Crusca nomini uno dei membri del Consiglio: si tratta di un importante riconoscimento della svolta che, a partire almeno dalla presidenza di Giovanni Nencioni, ha portato tale istituzione ad avvicinarsi al dibattito sulla lingua d’uso. Da molti anni, ad esempio, l’Accademia offre consulenza linguistica all’utenza, mediante un servizio interattivo: essa si distingue poi per lo stretto rapporto con gli istituti scolastici, cui vengono annualmente dedicati corsi di formazione e aggiornamento. Il CSLI potrebbe dare maggiore portata a tali iniziative, con il coordinamento di quella politica linguistica che da noi storicamente manca (l’italiano non è dichiarato lingua ufficiale neanche nella Costituzione!), ma soprattutto offrire all’Accademia una sede di ascolto istituzionale. Solo in tal modo quest’ultima potrebbe esercitare le sue storiche prerogative di analisi e disciplina dell’uso, in maniera conforme a quanto accade per le maggiori lingue europee.
Quali sono le iniziative che ha già intrapreso per disciplinare il linguaggio corrente e cos'altro potrebbe fare per valorizzare l'italiano?
A partire dal 1990, esce la pubblicazione periodica La Crusca per voi, dedicata a tutti i cittadini che hanno a cuore l’italiano ed il suo corretto uso. Il servizio di risposte alle loro curiosità è gestito dal Clic – Centro di Consulenza sull’italiano contemporaneo, vero e proprio osservatorio dell’uso che potrebbe esso stesso offrire un importante contributo al futuro Consiglio.: già il ministero della Pubblica Istruzione si avvale di un Osservatorio linguistico dedicato per monitorare l’integrazione linguistica degli alunni stranieri. Pur spesso rivolta all’uso ufficiale e letterario, la Crusca si distingue storicamente anche per una concreta collaborazione con i più alti ranghi istituzionali: in tempi recenti, si può ricordare la Nota informativa sulle lingue di lavoro, presentata dall’allora presidente prof. Francesco Sabatini al Ministero degli Affari Esteri, l’8 aprile 2003.
Cosa prevede il codice di stile che regola il linguaggio nelle pubbliche amministrazioni?
Si tratta di un progetto avviato nel 1992 dall’allora ministro della Funzione Pubblica Sabino Cassese, seguito da molte altre importanti iniziative volte a uniformare e semplificare il linguaggio amministrativo liberandolo dal gergo burocratico che già nel 1965 Italo Calvino definiva antilingua. Cito soltanto gli esiti di maggiore impatto di quel lontano progetto: la pubblicazione del Manuale di Stile a cura di Alfredo Fioritto (Bologna, Il Mulino, 1997) e le iniziative del successore di Cassese alla Funzione Pubblica, l’onorevole Franco Frattini: la Direttiva sulla semplificazione del linguaggio dei testi amministrativi (2002) e il varo del progetto interattivo Chiaro!, che ha offerto un importante servizio di consulenza linguistica on-line, proponendosi come certificatore della qualità della comunicazione scritta. Purtroppo il servizio risulta inattivo da metà 2003, ma ritengo che l’istituzione del Csli possa contribuire a tesaurizzare e recuperare questa e altre esperienze passate, comprendendo a fondo anche le ragioni (storiche, sociolinguistiche, politiche) dei relativi insuccessi. Più in dettaglio, dovrà essere tenuto in attenta considerazione lo sviluppo regionale delle direttive ministeriali sul linguaggio amministrativo: sono molte le Regioni e Provincie che hanno reso disponibili documenti anche pregevoli per promuovere la chiarezza nel rapporto con il pubblico (si possono citare i 10 segreti dell’URP pubblicati sul sito della Regione Emilia Romagna, o i materiali per la semplificazione del linguaggio pubblicati dalla Provincia di Lecce).