E’ ancora possibile nel contesto in cui viviamo quotidianamente, fatto di tecnologia, cellulari, internet, velocità, parlare di una società umana?
Pierpaolo Donati, ordinario di sociologia all’ Università di Bologna, presentando il suo ultimo volume, ha discusso assieme a docenti provenienti da diversi atenei italiani la sua teoria sulla scottante questione, ribadendo la necessità – soprattutto oggi- di una società a misura d’uomo.
“Il mondo della cultura non si colloca nei processi decisionali, bensì sul piano della riflessività, sul piano del piacere, ma ha anch’esso dei momenti forti e l’uscita di un volume è uno di questi”.
E’ con queste parole che Emmanuele Morandi, docente dell’ateneo, ha aperto la presentazione del libro di Pierpaolo Donati. E’ stata poi la volta del primo relatore della giornata, Ivo Colozzi, docente di sociologia all’Università di Bologna, che ha iniziato il suo intervento chiedendosi come definire il volume in questione “visto che non si tratta di una ricerca in senso classico, né di un manuale – ha spiegato – e credo che la risposta migliore sia che questo è un libro da meditazione, come quei vini pregiati che aiutano dopo pranzo a ragionare e riflettere”.
Riflettere su cosa ogni individuo voglia essere o diventare quindi, ma soprattutto sulla sua intima volontà di mantenersi umano e di conseguenza limitato, manchevole, in una sola parola: imperfetto. In una società che corre alla velocità della luce, inseguendo la perfezione in tutti i campi – lavorativo, estetico, scolastico – quella di Donati, di una società per l’uomo, è una richiesta controcorrente su cui vale la pena riflettere.
Professore, partiamo dal titolo del libro. Quali sono le caratteristiche di una società che voglia definirsi Umana?
A mio parere il problema nasce dal fatto che la società non è più immediatamente umana. Intendo che oggi, sempre più spesso, se vogliamo avere un rapporto interpersonale abbiamo bisogno di utilizzare mediazioni; quella di internet, delle tecnologie in generale. Dobbiamo intenzionalmente creare delle relazioni umane, non è più automatico.
Quindi che rapporto si instaura tra la modernità, con tutti i suoi effetti, e la società umana di cui parla nel libro?
La modernizzazione rende di sicuro più difficile la realizzazione di una società umana, ci porta ad un mondo in cui è sempre più possibile per le persone entrare nel sovrumano o nell’infraumano. Stranamente però, più la società dell’umano è messa in crisi -dalla tecnologia o dalle nuove visioni biologiche – e più c’è bisogno di questo tipo di società.
Si parla sempre più spesso di crisi della nostra società, in bilico tra passato e futuro. Nella presentazione del libro si è definita la crisi come sintomo e terapia per la società, cosa significa?
Tutti siamo sempre in crisi. Questo perché la nostra è una società che crea problemi e la maggior parte delle volte non riesce a risolverli. Penso ai problemi legati all’ ambiente, all’ emergenza educativa, alla crisi politica e finanziaria. Questa realtà è prescritta come terapia nel senso che questa crisi deve diventare il nostro modo di vivere, ci insegna ad adattarci e a riconoscerla come nostra, imperfetta, identità.
Crede sia ancora possibile vivere in una società dell’uomo e per l’uomo?
Non è possibile, è necessario! Scegliere l’umano significa accettare i limiti che ci sono dati. Nel momento in cui la nostra criticità, le nostre mancanze, ci danno fastidio, cediamo alla tentazione di essere qualcosa più di uomini, oppure qualcosa di meno. Così facendo perdiamo la nostra umanità, che è un delicato equilibrio da mantenere, ed è veramente la parte più bella della nostra vita.