Risvegliarsi dopo 23 anni. È successo a Rom Houben, l’uomo che ha potuto ricominciare a comunicare dopo essere rimasto per molti anni in quello che i medici consideravano uno stato vegetativo senza via d’uscita. Di questa esperienza Andrea Soddu, ricercatore del Coma Science Group dell’Università di Liegi che ha permesso il recupero di Houben. L’evento si inserisce all’interno di “Infinitamente”, il festival di scienze e arti promosso dall’Università di Verona in collaborazione con l’assessorato alla Cultura e il consorzio Verona Tuttintorno.
"La coscienza sarà tema di riflessione interdisciplinare nella finalità biogiuridica di assicurare tutela all'indifeso in ambito biotecnologico”, spiega Francesca Zanuso, docente di filosofia del diritto dell’ateneo scaligero. “Di particolare interesse appaiono al riguardo le ricerche e le scoperte di Andrea Soddu che suscitano interrogativi sulla condivisibilità dell'abituale modo di concepire lo stato vegetativo come possibile evoluzione del coma: i pazienti sono in stato di veglia ma non coscienti- e le sindromi da “locked-in”, nelle quali i pazienti sono coscienti e svegli ma non possono muoversi, suggeriscono al biogiurista di vagliare le scelte legislative in ambito di fine-vita"
“Per studiare i disturbi della coscienza – spiega Soddu – si utilizza soprattutto l’esame clinico che oggi permette di ottenere diagnosi più precise rispetto al passato, grazie all’introduzione di valutazioni comportamentali ripetute e standardizzate. Vengono anche utilizzati esami funzionali che possono fornire criteri di diagnosi più oggettivabili e ripetibili. Attraverso gli esami funzionali si è riusciti ad evidenziare alcune differenze tra una popolazione di pazienti in stato vegetativo ed una in stato di coscienza minima. Il problema è diagnosticare e categorizzare il singolo paziente: al momento siamo riusciti a diagnosticare pazienti in stato ‘locked-in’, mentre risulta ancora difficile distinguere uno stato vegetativo da uno stato di coscienza minima.
I pazienti in stato vegetativo – conclude Soddu – mostrano un’attivazione cerebrale ritenuta insufficiente per avere una percezione cosciente del dolore. Al contrario pazienti in stato di coscienza minima mostrano un’attivazione cerebrale molto simile, benchè ridotta, a quella dei soggetti sani sotto stimolazione dolorifica. Questo fa pensare che abbiano una percezione del dolore ed un certo livello di preservazione delle emozioni. Di conseguenza è fondamentale usare un trattamento antidolorifico per questi pazienti. La capacità di attuare una diagnosi differenziale è quindi un elemento chiave nella scelta del trattamento.”
Info: www.infinitamente.univr.it