Poteva e doveva essere un nuovo inizio. Non lo è stato. Il colpo di coda per il riscatto di un decennio fragile teso e contraddittorio non c’è stato. La conferenza sul clima di Copenaghen tenutasi alla fine di dicembre non ha dato i risultati sperati. “Hopenaghen” l’avevano ribattezzato i sostenitori di Greenpeace, ma era una speranza condivisa da tutti: trovare un accordo 'globale' sul taglio delle emissioni di gas serra. Raggiungere e rettificare da tutti i paesi il Protocollo di Kyoto – l'accordo secondo cui ogni Paese firmatario deve ridurre le proprie emissioni di una certa quota rispetto ai valori del 1990 – e infine giungere a un Piano condiviso sul clima, specialmente nel campo del trasferimento e della diffusione delle migliori tecnologie in grado di contenere il riscaldamento globale. La speranza è stata illusa, l’accordo ha deluso. La salute del pianeta è stata rimandata a data da destinarsi. Il risultato è un accordo in 12 punti, non vincolante né a livello politico né legale: fissato a 2 gradi l'aumento della temperatura media ma è eliminato ogni riferimento al taglio del 50% al 2050 per tutti i paesi.
Le parole e la realtà. Il direttore generale di Greenpeace parla di “fiasco totale, è anche un passo indietro rispetto al protocollo di Kyoto", ma il presidente USA Barack Obama difende l’accordo: “Per la prima volta nella storia tutte le più importanti economie del pianeta si sono riunite per accettare la loro responsabilità nell'agire per affrontare la minaccia del mutamento del clima “. Il trattato di Kyoto, seppur non rettificato da USA e Cina per esempio, fu molto più severo. Quest’ultimo poi scadrà nel 2012.