“Negli obiettivi del nuovo millennio: Oltre i miei confini. Dimensione individuale e sociale dell’uomo: problemi e soluzioni” è questo il titolo dell’appuntamento promosso dal Comitato provinciale di Verona per l’Unicef in collaborazione con il dipartimento di Scienze dell’educazione, il Centro studi interculturali e il dipartimento di Scienze economiche. Relatrici Alessandra Vaccari, giornalista e inviata di guerra in Afghanistan de “L’Arena”, Tiziana Nicolai, presidente del Comitato Unicef di Torino e Laura Agostini, docente dell’Istituto Enrico Fermi e responsabile del progetto Bolivia.
Afghanistan. “Sono nove anni che mi chiedo cosa ci facciamo noi in Afghanistan?” così ha iniziato Laura Agostini che ha portato la sua esperienza personale per far capire cosa veramente accade laggiù. “Con noi intendo la coalizione: sembrava fossimo là per colpa di Bin Laden, per Al Qaeda, per il male inflittoci dopo la caduta delle ‘torri gemelle’; non credo esistano guerre di religione, o guerre per portare pace, credo solo esistano guerre di economia, perché non esistono guerre di pace” così ha riassunto il motivo della sua partenza, come giornalista embedded. Imbarcata su un C130, attraverso le sue parole è riuscita a trasmettere la tensione psicologica del trovarsi in quel paese, le difficoltà di fare i giornalisti in tali zone, essendo lei stessa una miracolata di un attentato che occasionalmente ha colpito i militari passati prima di lei. E’ partita aggregata all’Esercito italiano, altre volte con le sue ferie, con i suoi soldi e attraverso agganci vari, perché come ‘turista’ non si può entrare nel paese. “Leggevo tante cose che mi sembravano eccezionali – ha aggiunto l’Agostini – ma che poi si sono dimostrate menzogne. Ero curiosa di vedere cosa era cambiato dal viaggio precedente: ho voluto andare a verificare e l’evoluzione non era quella che avevamo previsto. Ho voluto sentire gli odori, i sapori, gli umori; si aveva la presunzione di cambiare le cose, del tutto impossibile in un paese tormentato da sessanta anni da disparati invasori che non sono mai riusciti a conquistare il paese”.
Bangladesh. Da 17 anni volontaria dell’Unicef, Tiziana Nicolai ha fatto la sua ultima missione sul campo nel maggio 2009. Ha parlato di questo viaggio, dei bambini molto spesso invisibili, che subiscono la discriminazione sin dalla nascita. Su 156 milioni di abitanti, 18,9 hanno meno di 5 anni, 64 meno di 18 anni e solo il 10% di loro è registrato alla nascita. Sono bambini senza nome, senza identità, che se sono fortunati vanno in centri per l’apprendimento, se sfortunati passano la loro prima parte della vita in un orfanotrofio. Le foto parlavano da sole: “Unicef ha dal 2004 un progetto di aiuto per i bambini di strada in Bangladesh – ha spiegato la presidente torinese – e ad oggi abbiamo raccolto 3,3 milioni di euro, una cifra enorme se si pensa che loro vivono con due euro al mese”. I bambini di strada sono coloro che non hanno genitori, un tetto, una casa. Per loro si organizzano’school open air’ , protezione e assistenza in centri diurni, corsi di formazione al lavoro e reinserimento scolastico, assistenza medica e psicosociale, accoglienza temporanea e reinserimento famigliare quando è possibile e campagne di sensibilizzazione.
Bolivia. Pochi dati per un paese: nove milioni di abitanti e 36 popoli diversi, in Bolivia regna l’iniquità a partire dalla semplice distribuzione dell’acqua. Il progetto del Fermi ha coinvolto i due percorsi scolastici per aiutare i Guaranì, una delle popolazioni più antiche del Sud America, una delle più bistrattate durante le occupazioni europee dei secoli scorsi. Qui ci sono ancora i latifondi e la schiavitù, e la maggior parte di queste famiglie sono ‘proprietà’ dei latifondisti. Dagli anni ’90 è iniziata una collaborazione. Nella famosa zona di Che Guevara l’istituto Fermi aiuta gli indios: “Vengono da tutta la Bolivia e studiano o l’indirizzo ambientale o quello relativo alla salute” ha racdontato l’Agostini “è stata creata una scuola e un ospedale dove facciamo lezione ai ragazzi perché poi tornino nei loro territori ad aiutare le loro popolazioni locali”. Ma non solo istruzione, perché nel contesto boliviano sono state fatte analisi idrogeologiche negli anni e l’acqua potabile è risultata poca e mal gestita; inoltre i pozzi sono spesso dei latifondisti e se in certi giorni sono ‘arrabbiati’ chiudono i rubinetti a loro piacimento. Allora è appena iniziata una nuova operazione di costruzione di 22 chilometri di acquedotto, giustamente descritta come ‘immensa’ dalla relatrice, in una zona impervia, ma che metterà fine a storici problemi decisamente divenuti insostenibili.