È passato poco più di un mese dall’esplosione della piattaforma Deepwater Horizon della British Petroleum nel Golfo del Messico, nota ormai come “Marea nera”. Abbiamo intervistato il professor Franco Cecchi e i ricercatori David Bolzonella e Francesco Fatone del dipartimento di Biotecnologie dell’ateneo per fare il punto sulle conseguenze dell’incidente e sui rischi per l’ambiente.
Gli effetti ecologici dell’incidente sono, potenzialmente, i più gravi della storia. La lotta per arginare la fuoriuscita di petrolio procede senza sosta ma i provvedimenti sino ad ora presi non hanno avuto un grande successo. E’ stato dichiarato lo stato d'emergenza.
Il tempo che ci vorrà per rientrare da questo stato è innanzitutto legato al risanamento delle falle. Diverse tecniche sono state messe tentate, molte senza successo. Notizie recenti della British Petroleum riportano di finale gettata di cemento, atta a sigillare il pozzo, per le ore 20 di giovedì prossimo. D'altra parte, la storia dimostra come la riparazione di falle sottomarine possa richiedere mesi di attività. E' il caso, ad esempio, della piattaforma deepwater Ixtoc I che, perforando ad oltre tre chilometri di profondità nella baia di Campeche, sempre nel golfo del Messico, tra il 3 giugno 1979 e il 23 marzo 1980 riversò in mare circa 3.5 milioni di barili di petrolio, il secondo sversamento più imponente dopo quello provocato dalle forze armate irachene durante la prima guerra del Golfo nel 1991.
Quali sono le conseguenze sull’ambiente?
Oltre alla perdita di vite umane, 11 operai sono morti, le conseguenze possono riguardare la salute umana e l’ambiente. Quello dove è avvenuto il disastro è un ecosistema vario e sensibile, luogo di riproduzione di specie rare. Gli effetti collaterali potrebbero abbattersi sui vari tipi di pesci, sul plancton e sui coralli, portando così ad una reazione a catena; i timori si concentrano sulle specie già a rischio per le quali l'estinzione potrebbe essere accelerata. Occorre poi tener presente dei danni economici indiretti; a risentirne saranno infatti l’industria locale della pesca, il turismo, oltre ad un aumento del prezzo del petrolio.
“Potrebbe essere un disastro senza precedenti" ha affermato Barack Obama dopo aver visto in prima persona l'enorme chiazza nera che si avvicinava alle coste statunitensi. Potrebbe o è?
La storia del trasporto e delle perforazioni petrolifere è purtroppo costellata da incidenti che hanno provocato sversamenti anche superiori rispetto al disastro della Deepwater Horizon. Le notizie confermate dalla British Petroleum parlano di circa 5.000 barili al giorno, anche se alcuni ricercatori sostengono che si possa trattare di 70.000 barili al giorno, a fronte dell'analisi dei filmati sottomarini.
Riguardo agli effetti a lungo termine, studi sui numerosi casi di "oil spill" hanno dimostrato che la biodiversità delle zone impattate può essere affetta per decenni, in casi di ecosistemi molto sensibili come questo, ma, più in generale, ecosistemi meno sensibili sono in grado di restaurare il loro stadio pre-incidente in 2-10 anni. Evitiamo catastrofismi. Teniamo presente infatti che il petrolio è un prodotto naturale che ha una certa compatibilità nello smaltimento all’interno dei cicli ambientali. La letteratura stima tra 10 e 40 anni i tempi di ripristino della situazione ambientale precedente.
Tre piattaforme petrolifere off shore sono attive nel Mediterraneo italiano, l’Italia sarebbe in grado di rispondere ad un disastro ecologico e ambientale?
Il problema di sversamenti di petrolio in Italia è ritornato alla luce lo scorso febbraio a seguito del sabotaggio del deposito che ha portato allo scarico di circa 600.000 litri di petrolio e oli nel fiume Lambro. Questo dimostra che le cause di sversamenti di petrolio e idrocarburi sono molteplici, legate non solo alle piattaforme offshore o ad incidenti a petroliere, ma più spesso sono conseguenza di pratiche e abitudini non in linea con le necessità di salvaguardia ambientale.
Il Mediterraneo è un bacino chiuso, quindi molto sensibile, ben diverso dagli oceani. Pertanto, paragoni tra le piattaforme offshore in Adriatico e tecnologie tipo Deepwater Horizon non sono ragionevoli. Riguardo all'inquinamento da idrocarburi del mare nostrum, bisogna considerare che il Mediterraneo è tra i più inquinati da idrocarburi specialmente a causa dei lavaggi delle navi petroliere effettuati al largo. Il 20% del traffico petrolifero mondiale passa proprio per il Mediterraneo. A questo bisogna aggiungere la fitta rete di oleodotti e gasdotti che deve essere monitorata per scongiurare sversamenti di lungo termine, i cui effetti cronici sono manifesti solo quando il danno è enorme. Indagare e risolvere problemi legati a sversamenti e scarichi cronici di idrocarburi è fondamentale almeno quanto adottare misure per diminuire il rischio di incidenti, cause di sevrsamenti massivi che provocano effetti acuti sull'ambiente. Pertanto, l'adozione delle migliori tecniche disponibili deve essere perseguita in ogni settore della lavorazione e trattamento dei combustibili fossili. Quanto alle attività estrattive, infine, nel Mediterraneo sono da monitorare fenomeni di subsidenza, particolarmente rilevanti.
Che cosa si può fare per evitare che altri disastri possano verificarsi in futuro?
L'inquinamento ambientale da idrocarburi e residui di combustibili fossili non è conseguente solo a disastri ambientali come la Deepwater Horizon, le petroliere Exxon Valdes o Prestige, solo per citare i più noti; molte volte è causato da fenomeni cronici come perdite di oleodotti, scarichi incontrollati puntuali e diffusi che difficilmente sono all'attenzione dell'opinione pubblica, ma che provocano danni ambientali e sulla salute dell'uomo anche maggiori rispetto a fenomeni acuti come i disastri ambientali. Questo è, ad esempio, quanto hanno scoperto ricercatori spagnoli che hanno confrontato gli effetti ambientali acuti, osservati sulla costa galiziana, legati al disastro della petroliera Prestige nel 2002 con quelli cronici legati osservati nella baia di Algeciras (Gibilterra, Spagna), cronicamente affetta da sversamenti di petrolio.
Il disastro della Deepwater Horizon è legato alla dipendenza dell'economia globale dai combustibili fossili e alla crescente carenza di giacimenti "accessibili", che portano alla ricerca dell' "inaccessibile". La soluzione ultra-deepwater è spesso una scelta dei governi nazionali per arrivare all'indipendenza energetica, continuando a puntare principalmente sui combustibili fossili. Questa non può essere una politica energetica sostenibile, l'impulso governativo al risparmio energetico e allo sviluppo delle energie da fonte rinnovabile deve essere reale e capillare. Certo, le energie da fonti rinnovabili non sono mature per sostituire i combustibili fossili a cui siamo e saremo costretti a ricorrere, né lo saranno nel breve-medio termine. Oggi usiamo prodotti del petrolio per l'autotrazione, la produzione di energia elettrica e termica, l'asfalto, le plastiche, gli inchiostri, le pitture e le vernici, i fertilizzanti: siamo di fatto petrolio dipendenti. Modificare le nostre abitudini e le nostre tecnologie al fine di risparmiare energia e risorse è il contributo che tutti possiamo dare per evitare che simili disastri possano verificarsi in futuro.