Il convegno è stato organizzato dal dottorato di Scienze storiche e antropologiche dell’ateneocoordinato da Gianmaria Varanini, scuola di dottorato di studi umanistici. Il coordinatore del dottorato ha aperto la prima delle due giornate dedicate ai diritti umani e all’approccio antropologico, con numerosi interventi.
I diritti degli indigeni in America Latina. “Non ci sono a rischio di estinzione solo piante e fiori, ma anche popoli”. Così Donatella Schmidt ha aperto il suo intervento, che è stato condotto sull’analisi di due casi in particolare:gli Ashaninka dell’Amazzonia peruviana e gli Mbya-Guaranì del Paraguay orientale.
Quanto al primo caso la Schmidt ha spiegato che “nella provincia di Atalaya ci sono 5000 indigeni, tra cui gli Ashaninka, divisi in 80 comunità. Tra l’86 e l’88 la situazione era tragica, le comunità erano infatti divise tra libere e prigioniere. Queste ultime erano private delle loro terre e costrette a lavorare per le compagnie estrattive del legno. L’indigeno e la sua famiglia venivano legati per generazioni ad un proprietario tramite la tecnica del debito, cioè per essersi fatti anticipare cibo, vestiti, strumenti e vivevano in condizioni di totale schiavitù. Tutto questo – ha precisato la relatrice – a dispetto di una legislazione esistente che dunque non costituiva una garanzia”. Com’è cambiata questa situazione? “E’ stata messa a punto una strategia sul territorio che ha contato molto sulle figure dei leader, coloro cioè che riuscivano a distinguersi e ad uscire dall’ambito comunitario. Proprio alcuni delegati Ashaninkka – ha spiegato la relatrice – nel 1987 hanno partecipato all’assemblea della Aidesep, l’associazione interetnica per lo sviluppo della selva peruviana. E’ stata poi formata l’Oira, l’organizzazione indigena della regione di Atalaya. Insieme hanno elaborato delle strategie per il recupero delle terre. Ulteriore aspetto fondamentale – ha dichiarato la Schmidt – è stato l’inserimento di queste strategie nell’assetto internazionale, quindi coinvolgendo la Iwgia, l’international working group on indigenous affaire, con sede in Danimarda, che a sua volta ha preso contatti con Danida, la danish international aid agency per un progetto di titolazione delle terre che riguardava l’area di Atalaya. Aidesep E Oira hanno presentano un rapporto al Governo peruviano che ha avuto circolazione internazionale e nel 1996 il progetto finanziato da Danida si è espresso con il riconoscimento di 71 comunità e 168 titoli di proprietà collettiva. Ciò che conta – ha dichiarato la Schmidt – è che in questo progetto si è guardato al futuro, poiché si parla del riconoscimento dei titoli per tre riserve territoriali”.
“Il secondo caso coinvolge invece la mia ricerca sul campo nel dipartimento di Caazapa dove, nel corso degli anni ’60, è iniziata la rilocalizzazione di poveri contadini dal centro all’oriente del Paraguay e la vendita delle terre statali a privati. Si parla di ‘decade della distruzione’, dalla fine degli anni ’80, quando 500 mila ettari di foresta sono andati distrutti. Alla metà degli anni ’70 – ha spiegato la Schmidt – i Guaranì erano circondati dai coloni e avevano perso le terre sulle quali non avevano nessun diritto riconosciuto. Negli anni ’80 alcuni missionari e antropologi, insieme ad avvocati indigenisti, stilarono un progetto in favore degli indigeni del Paraguay che sarebbe diventata la futura legge 904 dello statuto indigeno”. Ma da quel momento è realmente cambiata la situazione? Sembra di no, a causa del “mancato il trasferimento delle terre”. Secondo Donatella Schmidt allora da domanda è: “a fronte dell’acquisizione di strumenti legislativi esistono ostacoli istituzionali che impediscono l’applicazione delle leggi? La risposta purtroppo è sì”.
Due giornate ricche di appuntamenti.La prima giornata è stata aperta da Vanessa Maher, docente di antropologia culturale dell’università a. A seguire gli interventi di Giuliano Tescari, dell’università di Torino su “L'antropologia fra diritti umani e diritti indigeni”; Donatella Schmidt, dell’università di Padova con “I diritti degli indigeni in America Latina”; Matteo Aria, dell’università di Verona con “Oggetti, diritti umani e restituzione in Oceania”; Antonio Morone, dell’università di Verona con “Respinti nel limbo: la Libia e i diritti dei migranti”;Barbara Sorgono, dell’università di Bologna su “Antropologi a giudizio: il caso dei richiedenti asilo”; Luca Bacciocchi, dottore di ricerca all’ateneo scaligero con “Immigrazione e diritti umani. Il caso Srilankese”; Eliana Raggio, di Unicef CiniItalia con “Localizzare i diritti umani fra le donne”; Helen Ibry, dottoranda all’università di verona su “I discorsi sui diritti nei movimenti delle lesbiche in Italia e in Perù” e Rossella Cevese, dottore di ricerca all’ateneo scaligero con “Migrazione e diritto alla salute”. Tre sono stati i momenti di dibattito coordinati da Anna Paini dell’università di Verona, Eliana Raggio e Barbara Sorgono dell’università di Bologna. La seconda giornata del convegno è stata aperta dall’intervento “Antropologia e diritti dell'infanzia: bambini soldato e guerre in Africa” di Luca Jourdan, dell’università di Bologna; a seguire Francesco Ronzon, dell’accademia di Belle Arti “Cignaroli” di Verona con “I diritti umani come pratica situata. Violenza politica, movimenti femministi e reti transnazionali in Haiti (1980-1990)”; Massimo Modesti, dottore di ricerca all’ateneo scaligero su “I figli di migranti e i diritti umani”; Elisabetta Didoné, dottoranda all’università di Verona con “Il velo e i diritti delle donne”.