Al convegno di “Antropologia e diritti umani” è intervenuto Massimo Modesti che, dopo aver concluso un’esperienza di dottorato in Scienze dell’educazione all’università di Verona durante la quale si è occupato di figli di migranti, oggi lavora come educatore e pedagogista. E’ intervenuto con una relazione su “Figli di migranti e diritti umani”.
La questione sulla normativa della cittadinanza. Si tratta di uno dei nodi attualmente cruciali per quanto riguarda i figli di migranti residenti in Italia. “Se in altri paesi europei – ha introdotto Modesti – e faccio riferimento in particolare ai paesi dell’Europa continentale, il diritto di cittadinanza è regolamentato in modo chiaro, nel nostro paese i riferimenti normativi, rappresentati dalla leggi 91 del 1992, non lo sono e rendono l’accesso alla cittadinanza per le seconde generazioni spesso molto complicato o addirittura impossibile. Le condizioni per l’accesso a questo diritto, nel nostro paese, sono molto restrittive e vincolanti. In questa legge – ha citato Modesti – si dice che ‘i figli di migranti ottengono la cittadinanza se i genitori riescono ad ottenerla mentre i loro figli sono ancora minorenni e, ulteriore condizione, se figlio e genitori convivono in Italia’. Questo ad esempio apre il grosso problema dei genitori separati. Si può dunque comprendere – ha chiarito Modesti – come questo tipo di legislazione renda particolarmente difficile l’acquisizione del diritto di cittadinanza”.
La questione della lingua materna a scuola. “In questo caso mi riferisco sia alla lingua del paese di residenza sia alla lingua materna, cioè quella parlata nell’ambiente domestico. Numerose pubblicazioni – ha spiegato Modesti – hanno sottolineato il valore formativo, psicologico e culturale del multilinguismo e la normativa internazionale ed europea incoraggia e sostiene la cura del patrimonio linguistico dei figli di migranti nel contesto scolastico”. Massimo Modesti ha poi fatto riferimento a due documenti di grande importanza, come la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia del 1989 e il rapporto del Parlamento europeo sull’educazione dei figli di migranti del 2009. “Cito dalla Convenzione Onu: ‘gli stati aderenti incoraggiano i mass media a tenere conto delle esigenze linguistiche dei fanciulli autoctoni o appartenenti a un gruppo minoritario’; e ancora ‘l’educazione deve avere la finalità di inculcare al fanciullo il rispetto dei suoi genitori, della sua identità, della sua lingua e dei suoi valori culturali’. Il rapporto del Parlamento europeo invece sollecita ‘i governi ad assicurare l’educazione ai figli di migranti che comprenda l’insegnamento delle lingue ufficiali del paese ospitante e la promozione delle loro lingue e culture native’. Esso inoltre riconosce l’importanza di ‘introdurre nei curricula scolastici lezioni impartite nella lingua nativa dei migranti’. E’ interessante – ha illustrato Modesti – che questo documento esprima ‘la necessità di programmi di insegnamento nella lingua del paese ospite anche per padri e madri dei figli di migranti per aiutare l’integrazione dei bambini’. La disponibilità economica e di personale – ha spiegato Modesti – non permette ancora di tener conto dei bisogno dei figli di stranieri, nonostante in alcune realtà sia stato fatto molto”.
La questione dell’educazione interculturale. “Secondo molti studiosi uno dei nodi centrali dell’educazione interculturale sta nell’uso del concetto di ‘cultura’. In una mia recente esperienza – ha raccontato Modesti – è emerso che questo concetto veniva spesso usato come ‘passpartout’ per spiegare le dinamiche che coinvolgevano i figli di migranti. La tendenza dunque era quella al culturalismo, alla riduzione della ricchezza dei percorsi di vita dei ragazzi ad etichette. L’educazione interculturale è spesso confusa con l’offerta di lezione riassuntiva su società e culture altrui dalla quale emerge un trattamento semplificatorio che produce solo nuovi stereotipi”, ha concluso il relatore.