Che cosa rappresenta la filiera agroalimentare nel contesto economico nazionale? Quali le specializzazioni produttive a livello regionale? Quali i problemi e le opportunità per il futuro? A fare il punto Bettina Campedelli, prorettore e ordinario di economia aziendale che ha di recente partecipato al convegno "Il futuro dell'agroalimentare" promosso da "IlSole24Ore".
La filiera agroalimentare costituisce una realtà economica fondamentale del nostro paese e, non a caso, rappresenta la “quarta A” dell’eccellenza produttiva italiana insieme all’automazione, all’arredo e all’abbigliamento. Essa assorbe un quarto dei consumi nazionali e sta manifestando una capacità di reazione alla crisi globale, sia in termini di ricorso alla Cassa di integrazione generale che di ripresa, che non trova simili in nessun altro settore produttivo.
Anche a livello regionale la dimensione della filiera è importante, grazie alla presenza di specializzazioni produttive – dolciario, vino, carne, lattiero caseario e alimentazione animale – che vantano circa il 16% dei prodotti italiani a denominazione d’origine o a indicazione geografica protetta.
La filiera agroalimentare italiana, che supera il milione di unità – tra aziende agricole, industrie alimentari e imprese della ristorazione e del commercio – è tuttavia una realtà complessa e diversificata nei modelli di business, nelle dimensioni aziendali, nel livello di internazionalizzazione e nelle performance, cosa che rende non facile l’individuazione di un omogeneo percorso di ripresa e di sviluppo post crisi nello scenario economico attuale, che pur appare foriero di nuove occasioni.
Nonostante le criticità – che sono insite nella sempre maggiore competitività dei paesi emergenti, nella modificazione dell’eco-sistema, nelle dinamiche dei prezzi-costo e, a livello europeo, nel progressivo indirizzo dei contributi verso attività finalizzate alla lotta al cambiamento climatico, alla gestione delle risorse idriche e alla salvaguardia della biodiversità – l’agroalimentare italiano gode oggi di alcune opportunità connesse, sostanzialmente, all’affermazione di una domanda di qualità del prodotto e di alto contenuto di servizio e di una sempre maggiore attenzione alla vocazione territoriale dei prodotti.
La questione è, allora se le imprese agroalimentari italiane sono in grado di percorrere la via dell’innovazione al fine di raggiungere i livelli tecnologici e, soprattutto, manageriali necessari ad interpretare positivamente le parole chiave dello sviluppo – qualità, servizio, ecologia, immagine – che si affermano nel quadro generale di una tendenza internazionale al cambiamento negli stili di vita e a una maggiore sensibilità alla sostenibilità delle produzioni.
I problemi aperti riguardano l’endemica polverizzazione della filiera in unità aziendali di ridotte dimensioni – emblematica nel vino e negli allevamenti, ma di cui non è esente nemmeno l’industria agroalimentare che è fatta per più del 60% da imprese artigiane – la fragilità dei modelli imprenditoriali, la scarsa propensione delle imprese all’integrazione orizzontale e verticale, il limitato ricorso alla R&S e all’ITC.
Le imprese agroalimentari italiane si trovano oggi di fronte alla necessità improcrastinabile di sciogliere questi nodi, che da sempre ne rappresentano i maggiori punti di debolezza, al fine di dare piena valorizzazione a elementi, quali l’originalità e la riconoscibilità del prodotto italiano, che ne costituiscono i principali punti di forza a livello internazionale.
Bettina Campedelli