Nel corso dei secoli, l’area di San Giacomo si è andata via via caratterizzando come spazio destinato alla cura di persone malate nel corpo e nella mente, già a partire dagli inizi del XVI secolo, quando fu trasferito in quest’area, al sito di Tomba, l’antico lebbrosario precedentemente situato in Basso Acquar. Era usanza allontanare gli infetti dalla città, concentrandoli in ricoveri suburbani. A San Giacomo venivano ospitate persone affette anche da altre malattie contagiose, come scabbia, rogna, ecc., in vari edifici adiacenti alla chiesetta di San Giacomo, ricostruita nel 1519 nell’omonima area. Inizialmente venivano ricoverati solo uomini. Un fabbricato destinato alla cura delle donne fu aggiunto soltanto nel 1565.
La decadenza e il riadattamento.In seguito alla costruzione del lazzaretto in località San Pancrazio/Pestrino nel 1620 circa, iniziò un periodo di decadenza della struttura dell’area di San Giacomo, finché nel 1797 l’ospizio fu chiuso e i malati furono trasferiti nell’ospedale cittadino della Misericordia. Ma la vocazione alla cura di questo territorio era destinata solo a cambiare volto, non ad interrompersi. La città necessitava di un luogo specializzato nelle malattie della mente. Così, il 2 luglio 1880, terminati i lavori di riadattamento del vecchio ospizio, venne inaugurato il Manicomio di San Giacomo; qui furono gradualmente trasferiti i malati dall’ospedale civile e dai manicomi centrali veneti (San Servolo e San Clemente). Il primo direttore fu Caterino Stefani. Abbiamo preziose testimonianze fotografiche dei lavori di ampliamento del Manicomio Provinciale di Verona, ad opera del fotografo e patriota Giuseppe Bertucci (1844-1926); le stampe sono conservate nell’Archivio Storico della Psichiatria Veronese. Adiacente al Manicomio si estendeva la colonia agricola, nella quale venivano impiegati i ricoverati, per la maggior parte di origine contadina. L’assistenza sanitaria era affidata a medici, infermieri laici e suore.
Una testimonianza fotografica.Testimone d’eccezione della vita all’interno del Manicomio, fu, nel 1959, il famoso fotoreporter John Phillips (1914-1996), che in quell’anno arrivò a Verona su invito dello scultore scozzese Michael Noble, il quale nel 1957 aveva aperto un atelier all’interno del parco dell’ospedale psichiatrico di San Giacomo, con il consenso degli psichiatri. Phillips ci ha lasciato circa 500 scatti che raccontano il dramma di uomini e donne ricoverati a volte anche fino alla fine della loro vita in manicomio, storie in cui l’offuscamento della ragione, la sofferenza, la solitudine si confondono e si sovrappongono a sentimenti di solidarietà, speranza, voglia di riscatto. Così lo stesso Phillips esprime lo stato d’animo con cui ha vissuto l’esperienza nell’ospedale veronese “Nel 1959 ho avuto la straordinaria opportunità di fotografare i diversi aspetti della vita in un manicomio italiano – racconta Phillips-. Ho scritto “straordinaria”, perché non è normalmente concesso scattare foto del genere. Ho conservato un archivio fotografico di oltre 500 immagini che fino ad oggi non sono mai state pubblicate perché gli editori negli anni Sessanta consideravano i soggetti troppo duri per la sensibilità dei lettori. Lo staff era composto da persone molto dignitose che affrontavano un lavoro impegnativo – continua il fotografo- soprattutto se si considera che tre medici a tempo parziale avevano in carico 1400 pazienti. Per quanto strano possa sembrare, c'era un sottofondo di dolcezza in questo ospedale, dove i pazienti si aiutavano a vicenda e il personale mostrava grande capacità di controllo anche di fronte ad alcuni casi piuttosto difficili. Ciò che emerge dalle mie foto è un terribile senso di solitudine e un profondo senso di desolazione. Durante il mese che ho trascorso a scattare foto al manicomio ho avuto la possibilità di fotografare la vita quotidiana in un ospedale psichiatrico. Sono stato anche abbastanza fortunato perché ho potuto fotografare la festa principale del manicomio, nella quale si celebra il Santo patrono che ha dato il nome all’ospedale, riprendendo i pazienti in preghiera e mentre facevano dei giochi. La mia collezione è completata con le fotografie che mostrano come l’arte possa essere una forma di terapia per i pazienti nel mondo morto in cui vivono”. In questa nota, Phillips fa riferimento alla festa patronale di San Giacomo, durante la quale i pazienti assistevano a solenni funzioni religiose e trovavano svago in una serie di giochi e momenti ricreativi organizzati dal personale addetto. Conserviamo una serie di scatti fotografici di una di queste feste annuali (1963?), ad opera del fotografo Formenti, che erano in possesso dell’infermiere Armando Meneghelli, che in quegli anni aveva prestato servizio nell’ospedale. Dai volti dei pazienti traspaiono gioia, entusiasmo, allegria, nella cornice luminosa e verde del parco annesso.
Apertura alla creatività.Phillips, nella stessa nota, fa anche riferimento all’atelier di pittura e di scultura del manicomio, dove i pazienti potevano esprimere la loro creatività, solitamente repressa dalle severe regole interne. Tra i ricoverati dediti a queste attività, emerge la figura geniale e artistica di Carlo Zinelli (1916-1974), divenuto poi famoso per i suoi quadri. Nell’atelier di Noble, al quale si aggiunge ben presto lo scultore Pino Castagna, Carlo trova il luogo ideale dove soddisfare il suo bisogno di espressione, sostenuto anche dallo psichiatra Vittorino Andreoli, a quei tempi ancora studente all’ospedale psichiatrico di Verona.
Anni Sessanta: la chiusura.Le sempre più numerose polemiche sulla inadeguatezza delle strutture esistenti rispetto alle nuove tecniche di cura dei malati mentali indussero l’Amministrazione Provinciale di Verona alla decisione di chiudere l’ospedale di San Giacomo e di costruire un nuovo Ospedale psichiatrico a Marzana: erano gli inizi degli anni Sessanta, quindi diversi anni prima della legge Basaglia (1978) che imponeva la chiusura dei manicomi. Per le strutture dell’area cominciò un periodo di abbandono e decadenza, attestato anche da una serie di fotografie di Renato Magnabosco, donate all’Archivio Storico della Psichiatria Veronese dall’architetto Vincenzo Pavan. Contemporaneamente, gli Istituti Ospedalieri, che avevano in progetto l’ampliamento dell’Ospedale Civile di Borgo Trento, decisero la costruzione di un grande complesso clinicizzato, proprio nell’area San Giacomo, destinato alla cura di molte malattie, non più soltanto della mente ma di nuovo anche del corpo, come alle origini. L’attività del Manicomio si concluse effettivamente nel 1969/70; i ricoverati furono gradualmente trasferiti nel nuovo Ospedale psichiatrico di Marzana.
Il parco di San Giacomo.Negli anni 1976/77 il Circolo Popolare di Borgo Roma si mobilitò con varie iniziative (sagre, spettacoli, giochi, cortei, petizioni) per chiedere che parte dell’area di San Giacomo fosse destinata a parco e servizi sociali; a questo scopo pubblicò anche un “libro-bianco” di inchiesta e denuncia sulla situazione del Parco dell’ex Ospedale psichiatrico di San Giacomo: “Un parco per il quartiere. Storia e contro storia del parco dell’ex-ospedale psichiatrico di San Giacomo a Borgo Roma”. Tra le diverse manifestazioni, particolare risonanza a livello culturale e politico ebbe la festa d’occupazione del settembre 1976, durante la quale il Circolo ottenne anche il consenso alla lotta da parte del Consiglio di Quartiere. Ad oggi soltanto una parte dell’estesa zona verde del parco è rimasta intatta.
La nascita del Policlinico.I lavori per la costruzione del nuovo ospedale ebbero inizio nel 1963 e si conclusero nel 1969. Il 20 settembre 1970 venne inaugurato il nuovo Centro Ospedaliero Clinicizzato di Borgo Roma, attuale Policlinico, dopo la demolizione dei padiglioni del Manicomio. L’inaugurazione ufficiale si tenne quando già alcuni reparti e servizi erano in attività e si svolse con una cerimonia solenne con cui la Città di Verona celebrò “la ricorrenza del primo centenario di Roma Capitale d’Italia”. Alla cerimonia presenziarono il Presidente della Giunta regionale del Veneto, l’ingegnere Tomelleri, e tutte le autorità civili, religiose e militari del Comune e della Provincia. I discorsi ufficiali furono tenuti dal vescovo, Monsignor Carraro, dal sindaco, l’avvocato Gozzi e dal presidente, l’avvocato Rossi.
Il biglietto d’invitoriporta alcuni dati dell’opera. “Sorge su un’area di 340.000 mq, di cui 14.000 coperti e si sviluppa su un’altezza di 10 piani. Ha una superficie recettiva di oltre 1000 posti letto di cui 900 occupati dalle cliniche del secondo triennio della Facoltà di Medicina di Padova. Il volume dell’opera è di circa 325.000 mc. Costo unitario per mc. L. 20.000. Costo totale dell’opera L. 9.000.000.000, compresi l’area, l’attrezzatura e l’arredamento”.
L’università al Policlinico.Risale all’anno accademico 1969/70 l’avvio dei corsi del II triennio della Facoltà di Medicina, come sede distaccata dell’Università di Padova, all’interno del nuovo Centro Ospedaliero, dedicato alle attività cliniche.
Il percorso della mostra.Ancora oggi, nell’area di San Giacomo, sono presenti delle tracce che segnano una continuità in questo percorso testimoniato dalla mostra: la palazzina di Psicologia Medica, alcune strutture del parco, ma soprattutto l’ingresso all’ex Manicomio situato in via San Giacomo e la Chiesetta dei santi Giacomo e Lazzaro, che versa in condizioni di declino e abbandono e che necessita di una ristrutturazione, per salvare e restituire alla memoria collettiva il simbolo di questa lunga storia di cure.
A cura di Renato Fianco