In Afghanistan non si è mai svolta alcuna guerra. Ad affermarlo il Generale Franco Angioni, comandante della missione italiana in Libano nel 1982-1984 e deputato dal 2001 al 2006 nei Democratici di Sinistra, intervenuto a fianco di Daniele Protti, direttore de "L'Europeo" e Valerio Pellizzari de "Il Messaggero" nell'incontro esordio del progetto "Facoltà di comunicare". L'incontro promosso dalla facoltà di Lettere e filosofia è stato presentato dal preside di facoltà Guido Avezzù e da Federico Barbierato, ricercatore di storia moderna dell'ateneo scaligero.
Uno sguardo diverso. L'Afghanistan ormai non fa più scalpore. Gli attentati sono diventati un argomento quotidiano e le immagini di bambini armati di mitragliatrice non suscitano più alcuno stupore. Dire 'Medio Oriente' e pensare 'guerra' è cosa normale. Ma l'Afghanistan non è solo questo. E ne ha dato una dimostrazione Daniele Protti, direttore de "L'Europeo", che durante la conferenza ha presentato il numero monografico del suo giornale dedicato all' Afghanistan, in cui racconta la storia del paese attraverso la fotografia. Scatti unici che ritraggono, a fianco di militari e terroristi, un lussuoso centro commerciale di Kabul, grandi palazzi e donne senza il velo. "Questo numero è stato fatto non solo per fare vedere delle immagini belle che raccontano una storia lunga – ha spiegato Protti – ma anche per ricordare che il recupero della memoria può servire a vivere meglio il presente e conoscere la storia di quel paese può aiutarci a leggere la storia di oggi".
Le due guerre. La conferenza è proseguita con un breve excursus del generale Angioni sulle due guerre in Afghanistan: quella delle truppe sovietiche iniziata la vigilia di Natale del 1979 e quella degli occidentali avvenuta in seguito all'attacco alle Torri Gemelle nel 2001. Le cifre sono impressionanti se confrontate con le conquiste ottenute: la guerra del '79 ha visto dieci anni di operazioni inutili e disastrose e ha causato 15000 morti e 40000 feriti nelle fila sovietiche e 30000 morti e oltre 8 milioni di profughi nel popolo afghano. Dall'altra parte abbiamo invece una guerra ancora in corso in cui fino ad oggi sono morti 1974 militari stranieri tra cui 34 italiani e circa 20000 cittadini afghani. Questione di atteggiamento. Diverso è il contributo dato da Valerio Pellizzari, giornalista e scrittore, inviato de "Il Messaggero" e grande conoscitore della realtà mediorientale. Il suo intervento si è concentrato soprattutto sul lato umano della guerra, sui rapporti interpersonali tra i militari e la popolazione. Nelle sue parole trova spazio una forte critica nei confronti dell'atteggiamento di superiorità e arroganza che le truppe straniere da sempre adottano con i civili: "È abbastanza normale che la popolazione locale non consideri amici gli americani, nonostante abbiano mandato via i talebani;– ha affermato Pellizzari – non sentire ai posti di blocco una sola parola in lingua locale e vedere i militari che osservano i cittadini da dietro i loro occhiali da sole sono comportamenti che non consentono di conquistare il cuore e la mente della popolazione".
Si possono chiamare guerre? Il generale Angioni porta a termine l'incontro con un'affermazione che può sembrare paradossale:"Le due operazioni in Afghanistan, quella sovietica e quella occidentale, non possono essere definite guerre".Il diritto internazionale infatti sostiene che la guerra è una situazione giuridica stabilita sulla base di una dichiarazione ufficiale in funzione della quale gli stati coinvolti sono autorizzati a esercitare la violenza contro il territorio, contro le persone e contro i beni dell'altro stato. "E in nessuno dei due casi – ha affermato – c'è mai stata una vera dichiarazione di guerra". Angioni ha infine analizzato questa definizione soffermandosi in particolare sul termine "violenza sulle persone". "Dalla Seconda Guerra Mondiale – ha dichiarato – le persone civili non sono più state distinte dagli obiettivi militari con l'unico scopo di accorciare i tempi della guerra. Ma si possono pagare due mesi di accorcimento della guerra con 1 milione di vittime? – ha chiesto. – Certamente no."