Le condizioni socio-economiche influenzano la salute di un individuo e questo è valido anche per la salute mentale. Uno studio nazionale multicentrico ha analizzato nel nostro Paese la relazione tra condizioni sociali ed economiche di un territorio, salute mentale ed uso dei servizi per la salute mentale. Il lavoro è stato finanziato dal ministero della Salute e coordinato dal Centro di ricerca sulla salute mentale dell’Organizzazione mondiale della sanità, che ha sede a Verona, e dal Dipartimento per la Salute Mentale di Verona. I risultati della ricerca sono stati presentati venerdì 26 novembre, nell’aula De Sandre del Policlinico, in un congresso al quale hanno partecipato esperti nazionali ed internazionali.
Lo studio. “È noto che, a parità di ogni altra condizione, le classi socio-economiche più svantaggiate sono meno in grado di trarre beneficio dalle strutture sanitarie esistenti e meno capaci di recuperare le condizioni di salute preesistenti all’evento morboso – hanno spiegato i curatori della ricerca-. Lo studio italiano ha dimostrato che per alcuni servizi di salute mentale, ambulatorio e day-care, appartenere ad una condizione sociale ed economica migliore aumenta la capacità di utilizzare quei servizi, mentre vivere in una situazione disagiata produce una maggiore utilizzazione del ricovero in ospedale”.
Il convegno.Il convegno è stato promosso dal centro di ricerca dell’Oms di Verona, dall’Azienda Ulss 20 di Verona, dall’Azienda ospedaliera universitaria integrata, e dall’azienda ospedaliera “Guido Salvini” Garbagnate Milanese. Nella mattinata sono intervenuti l’assessore regionale alla SanitàLuca Coletto, il preside della Facoltà di Medicina Michele Tansella, il direttore generale dell’Ulss 20 Giuseppina Bonavina, e il direttore generale dell’Azienda ospedaliera universitaria integrata Sandro Caffi. Presenti al convegno i massimi esperti nazionali e internazionali di disuguaglianze e salute mentale. Tra questi Jane Boydell dell'Istituto di Psichiatria del King's College di Londra, Luis Salvador-Carulla dell'Università di Cadiz (Spagna), Giuseppe Costadell’Università di Torino, vicepresidente dell’associazione italiana di Epidemiologia, Antonio Lora, presidente della Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica. Nella sessione pomeridiana sono stati presentati i principali risultati della ricerca italiana, la quale ha consentito di realizzare un indicatore di status socio-economico applicato a tutte le sezioni di censimento del territorio italiano, in grado di indagare diversi aspetti materiali e relazionali delle disuguaglianze. Si è svolta poi una tavola rotonda sulle possibili ricadute pratiche di questa ricerca in termini di politiche sanitarie e organizzazione dei servizi in cui sono intervenuti police-maker, ricercatori e clinici. “La conoscenza dei risultati di questi studi per gli amministratori regionali o delle singole aziende sanitarie – hanno evidenziato i curatori dello studio – rende disponibili informazioni sui determinanti dell’utilizzazione dei servizi psichiatrici che consentiranno di elaborare proposte organizzative alternative per l’ottimizzazione dell’uso delle risorse (umane, materiali, strutturali) nell’erogazione dei servizi, in funzione delle caratteristiche socioeconomiche di contesto. Questo tipo di approccio è già adottato in altri paesi europei, ad esempio in Gran Bretagna, dove i servizi vengono finanziati in base alle caratteristiche socioeconomiche del territorio di loro competenza e non in base alla semplice quota capitaria. Un altro aspetto, certamente più complesso, riguarda la possibilità di programmare interventi di promozione della salute mentale e di prevenzione delle patologie psichiatriche che riducano le disuguaglianze nella popolazione”.