Il discorso del Rettore Alessandro Mazzucco pronunciato in occasione dell'inaugurazione del nuovo polo chirurgico di Borgo Trento.
A nome dell’Università di Verona porgo il più caloroso saluto al presidente della Regione Veneto Luca Zaia, al Sottosegretario Francesca Martini, al sindaco della città di Verona Flavio Tosi, alle autorità intervenute, al personale tutto che opera nell’Azienda, alla cittadinanza qui presente. Mi sia consentito di indirizzare un plauso anche a Michele Romano e Valerio Alberti che si sono avvicendati alla guida di questo fantastico progetto passando infine il testimone al nostro Sandro Caffi, cui è toccato l’onere, ma anche il grande onore, di portare al traguardo dell'inaugurazione questo splendido manufatto, la cui costruzione si è svolta parallelamente e contestualmente ad una altra operazione non meno importante, di natura culturale, quella della costituzione della Azienda Ospedaliero-Universitaria Integrata. Ho già avuto modo di commentare il significato, che ritengo fortemente connaturato, di questa non casuale coincidenza.
Nel nostro Paese abbiamo coltivato troppo una cultura della difesa della corporazione, della appartenenza ad una categoria, trascurando il valore intrinseco delle reali attività svolte. La separazione fino ad ora mantenuta all’interno di una stessa struttura aziendale – quali sono state tutti gli ospedali che ospitano una facoltà medica – in due componenti aventi affiliazione diversa, stato giuridico diverso, indisponibilità a colloquiare è una anomalia tutta nostrana che ha portato all’abnorme risultato dell’isolamento di ogni gruppo all’interno di strutture duplicate.
La legge 517 che regolamenta la attività dei clinici universitari all’interno della sanità ha inteso superare questo artificiosa divisione, dando vita ad una nuova tipologia di ente, l’azienda integrata, che riunisce nelle sue funzioni quella assistenziale con quella di formazione medica e sanitaria e di ricerca clinica.
Fatta l’Italia, bisogna ora fare gli Italiani. Troppo spesso, nel nostro Paese, si è ritenuto che solo cambiando le etichette ed i nomi si sia attuato un principio legislativo. Qui, tra la nostra gente, è consuetudine di affrontare le cose in modo reale ed è per questo che il percorso per la costituzione dell’azienda integrata è stato tanto lungo e laborioso, più lungo della costruzione di questo splendido edificio: è stato difficile perché si è interpretato il processo di integrazione come processo sostanziale e costruttivo, cosa che inevitabilmente richiede da una parte e dall’altro la rinuncia a qualche privilegio esclusivo, di qualsiasi natura esso sia stato, e l’apprezzamento del valore di fare squadra. Purtroppo temo che da troppi questo processo sia interpretato nella maniera riduttiva di una semplice riduzione di costi, cosa che sarebbe certamente non banale, ma non sufficiente, se non fosse accompagnata dall’investimento sulla qualità.
Grazie alla Regione, a Giancarlo Galan prima e a Luca Zaia adesso, e alla Fondazione Cariverona, si è costruito il primo splendido blocco della nuova casa. Per raggiungere il risultato della integrazione di chi ci vive, non è sufficiente farli coabitare, bisogna farli sentire appartenenti ad una stessa identità. Per raggiungere questo scopo sarà utile la consuetudine tra colleghi, saranno importanti le occasioni di cooperazione, ma io sono profondamente convinto che sono indispensabili due interventi:
1. La strutturale omogeneizzazione del trattamento economico e degli obiettivi di attività. La introduzione di una disposizione di legge che prevede la composizione delle voci costitutive della retribuzione universitaria non elimina il principio base della equiparazione del trattamento economico che discende dalla pedissequa applicazione della 517 e che potrebbe generare un gravissima disincentivazione dall’assumere il ruolo universitario in particolare per le nuove leve. Sarebbe un aberrazione che ci riproponiamo di affrontare insieme con la regione al fine di trovare una urgente soluzione.
2. Il secondo cambiamento è nelle mani del parlamento che sta proprio oggi deliberando sul Disegno di legge di riforma dell’Università, fortemente avversato dalle forze più o meno consapevoli della conservazione, che consentirebbe di modificare il meccanismo di reclutamento, aprendolo sostanzialmente alla sola valutazione del merito piuttosto che alla appartenenza, consentendo che il ruolo universitario fosse finalmente accessibile – non solo in teoria – a chi all’interno di una azienda integrata ha svolto le attività integrate che sono proprie di questo ente in modo meritevole.
Noi cosa possiamo fare ancora, oltre alla nostra complicata azione politica ed amministrativa? Auspicare che la qualità di questa azienda di cui oggi ammiriamo la componente edilizia, sia altrettanto eccellente per il capitale umano. Noi oltre all’auspicio, dobbiamo impegnarci in questo. Questa è una grande responsabilità dei vertici dell’Università e della Direzione Generale, perché le future scelte del personale debbono essere esclusivamente dirette alla qualità e in nessun conto debbono tenere la appartenenza istituzionale, le pressioni interne o esterne di qualsiasi natura, o qualsivoglia opportunismo.
Questo è un impegno che dobbiamo a noi stessi, ai nostri giovani, al progresso del Paese, alla nostra cittadinanza che inconsapevole , da noi si aspetta quella dedizione e quella competenza che è stata riconosciuta nell’intitolare questa struttura ad una grande innovatore nella chirurgia.