Lo sport è sempre più studiato e promosso come metodo naturale di supporto alla salute da parte dei ricercatori di Scienze Motorie di tutto il mondo, sia in termini di prevenzione che di intervento per ridurre numerose problematiche fisiche, psicologiche e sociali. Numerosi studi scientifici dimostrano infatti che l'attività fisica regolare "aggiunge anni alla nostra vita" (riducendo il rischio di cancro, di malattie cardiovascolari, di obesità e diabete e di patologie a carico di ossa e muscoli), inoltre "aggiunge vita ai nostri anni" migliorando la qualità della vita ed il nostro benessere psicologico (migliore salute mentale e maggiore flessibilità e vigore).
Aspetti negativi che possono insorgere. Con l'avanzare delle ricerche, al ruolo dell'attività fisica viene data sempre più attenzione di quella attribuita negli anni passati, grazie alla sua importanza per il benessere e la salute, tenendo in considerazione anche qualche aspetto negativo che a volte può insorgere con la pratica sportiva; infatti nonostante sia altamente raccomandata l’attività fisica “può succedere che la pratica dello sport diventi talvolta una dipendenza come dimostrano i numerosi casi di quella che viene definita comunemente, ma talvolta anche impropriamente, come “dipendenza dallo sport” afferma Federico Schena, docente della facoltà di Scienze motorie, ed impegnato nella ricerca sugli effetti dell’attività fisica negli anziani”. Il Centro per la preparazione alla maratona attivo alla facoltà di Scienze Motorie si è occupato di studiare scientificamente anche questi aspetti legati alla pratica dell’attività fisica; il suo compito è fornire agli atleti maratoneti supporto tecnico-scientifico, possibilità di controlli medici sportivi e valutazioni funzionali.
Tesi di laurea. Attraverso uno studio effettuato su due gruppi di atleti maratoneti, da cui poi è scaturita anche una tesi di laurea: “La Dipendenza da Esercizio è diffusa tra gli atleti anziani? Studio tra i maratoneti over 60” della laureanda Carlotta Marinelli con Cristiano Chiamulera come relatore, si è constatato che questo fenomeno è diffuso anche tra alcuni atleti già “in pensione”. “La tesi in questione ha provato attraverso lo studio di due gruppi campione di atleti maratoneti, a rischio di dipendenza, (uno di mezza età e l’altro over 60), che il rischio di dipendenza nel gruppo più anziano è ancora più radicato, rispetto ai loro colleghi maratoneti di mezza età – spiega Carlotta Marinelli -. E’ importante sottolineare come i soggetti di età più avanzata si mettano in gioco partecipando a competizioni agonistiche al pari dei loro colleghi più giovani, dimostrando una forte carica psicologica e spinti da altre motivazioni quali l’aumento della capacità di socializzazione, l’autoefficacia e l’incremento del senso di autostima, tutte componenti psicologiche che tendono ad aumentare questo tipo di dipendenza”.
I passi per comprendere. “Quando si parla di dipendenza dallo sport – conclude Schena – o, come viene definita questa sindrome a partire dalla terminologia americana, di dipendenza dall’esercizio fisico, ci si riferisce ad una condizione in cui non è presente, né sempre né esclusivamente, un abuso quantitativo della pratica sportiva, ma in cui esistono dei sintomi simili a quelli presenti in altri tipi di dipendenze. Il primo passo per comprendere il fenomeno in questione è, infatti, quello di non utilizzare tale termine, divenuto ormai popolare, a sproposito per designare tutti quei casi in cui si pratica eccessivamente lo sport, adottando quindi un metro puramente quantitativo. Ma l’exercise dependence o exercise addiction, come viene anche chiamata tale sintomatologia in lingua inglese, non è sempre un problema quantitativo e certamente non è soltanto un problema di abuso di sport. Non necessariamente comporta over-training, perché non sempre la costanza nella pratica sportiva coincide con un’attività estenuante, e soprattutto si connota per alcune caratteristiche psicologiche distintive”.