Mercoledì 15 dicembre nell’aula magna del polo Zanotto è stata conferita a Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz-Birkenau e testimone diretta di uno dei periodi più neri della storia recente, la laurea “honoris causa” in Scienze pedagogiche. Sono intervenuti alla cerimonia il rettore Alessandro Mazzucco, Mario Longo preside della facoltà di Scienze della Formazione e Gian Paolo Romagnani, docente di Storia Moderna della facoltà di Scienze della Formazione. In conclusione, dopo la proclamazione e la lectio magistralis della neo-laureata, il pubblico in sala ha potuto ascoltare le musiche della Fanfara Ziganka e le voci del Coro dell’Università hanno coinvolto il pubblico in sala.
E' diponibile nello spazio web dell'Università di Verona il video della cerimonia.
Matricola 75190, per 45 anni ha cancellato questo orrore. “La Segre testimone tanto ammirevole di un periodo veramente buio della nostra storia – afferma Mazzucco – con il suo parlare ai giovani, dopo aver per oltre quaranta anni chiuso in un cassetto i ricordi, aiuta le nuove generazioni nel non far morire la speranza”. Dalle parole d’apertura del rettore la parola speranza, eco indissolubile dell’azione pedagogica di cui la Segre si è fatta portatrice, prende vita e si delinea come legante per l’intera cerimonia. “La laurea che la facoltà di Scienze della Formazione concede non è un premio alla memoria, o un premio al passato – spiega Longo – ma un premio al valore ed all’importanza dell’azione divulgativa di cui la Segre è impegnata da vent’anni”. “Ha imparato in fretta a vivere la Segre – spiega Romagnani nel presentare la biografia della Segre -; si era imposta di attraversare una situazione drammatica ed in analogia con la speranza che tanto l’ha aiutata negli anni tragici della Shoah ha voluto dopo decenni di silenzio rendere vivo il ricordo della sua testimonianza diretta”. Ricordo che, come si evince dalle parole di Romagnani, sarà Storia il giorno stesso in cui morirà l’ultimo testimone diretto della Shoah. Quel giorno, quando ciò che resterà saranno documenti, la professione degli storici sarà quella di “fornire i ganci su cui appendere i quadri della nostra memoria”. Tentando di non incappare nel rischio, sempre alle porte, dell'oblio.
Per la semplice colpa di essere nata, inerme, mi trovai tredicenne ad Auschwitz. Perché anni di silenzio? “Cercavo di nascondere per essere una mamma, e oggi una nonna, serena – racconta la Segre – ma mille piccoli particolari hanno fatto sì che i miei figli capissero”. Un’esperienza di persecuzione e solitudine che la Segre, deportata nel campo di Auschwitz-Birkenau e sopravvissuta alla Shoah, ha presentato e più volte riproposto sotto forma di racconto in decine di scuole in tutt’Italia. Senza lesinare dettagli e particolari d’immane tragicità la Segre nel testimoniare il suo vissuto offre molto più che una lezione. Un racconto per non dimenticare. “Credevo d’essere stata zitta per tanti anni, nella realtà per tutto quel tempo ho convissuto con me stessa su due piani a distanza ravvicinata: io testimone e io che parlo d’altro”. Il messaggio che la Segre vuol lanciare alla platea è un vero e proprio diktat contro l’indifferenza che ha popolato gli animi degli italiani negli anni della persecuzione razziale: “Ed era una forma di violenza sottile che cingeva tutti – spiega – vicini di casa o compagni di scuola che da un giorno all’altro improvvisamente ci trovavano trasparenti. L’indifferenza di chi vedendoci partire verso ignota destinazione girava lo sguardo”. Il resoconto delle ultime ore trascorse insieme al padre nel carcere milanese di San Vittore prima che (senza saperlo) per sempre venissero separati è racchiuso in una manciata di parole: “Ora dopo ora diventavo vecchia in quella cella”. Parole, ricordi e racconti che non devono invecchiare.