Dai giorni in cui a lasciare il Paese in massa, alla ricerca di una vita migliore oltreoceano eravamo noi, cosa è cambiato? Protagonisti e rotte a parte, molto poco. Gli stereotipi e i pregiudizi verso lo straniero sono ancora molti, ed anche le segregazioni e le nuove forme di schiavitù sono all'ordine del giorno nel mondo globalizzato. Sono queste alcune delle tematiche emerse nel convegno “Italiani in America” svoltosi nei giorni scorsi all’università e organizzato dal Centro studi interculturali di Ateneo.
Perché parlarne oggi? “La storia dell’emigrazione è la storia dell’umanità – ha detto Agostino Portera, direttore del Centro Studi interculturali di Ateneo -. Oggi, a fronte della globalizzazione, dell’interdipendenza, diventiamo ancora più migranti e si creano problemi di gestione delle culture diverse”. Ripercorrendo la storia, per gestire il problema immigratorio, un modello molto diffuso è stato quello della violenza, dell’annientamento e dell’eliminazione del diverso. Utilizzato in parte anche oggi, nel caso delle guerre per la democrazia. “Nella storia dell’uomo la violenza ha solo spostato i problemi, ingrandendoli” ha analizzato Portera. “L’apertura alla dimensione storica del problema interculturale è un tema vicino ma anche un po’ nuovo – ha spiegato Mario Longo, preside della facoltà di Scienze della Formazione -. Molto diffuso nell’opinione pubblica è il pregiudizio dell’immigrazione come fatto nuovo, che ci investe e al quale non si come rispondere. Per questo è importante analizzare la nostra storia per non commettere vecchi errori e approcciare l’immigrazione in modo corretto”.
Tra pedagogia e storia. Un connubio ancora inusuale, quello tra pedagogia e storia, auspicato durante il convegno, che offre diversi spunti di riflessione su temi di grande attualità. Cosa significa appartenere a una cultura ma vivere all’estero? Come coltivare una cultura al di fuori dei confini nazionali? Roberto Perin, ordinario di storia alla York university di Toronto, ha analizzato la situazione tra i giovani universitari canadesi discendenti di italiani. “Oggi, la cultura italiana è diventata del tutto soggettiva, non se ne conosce la lingua, la storia e la cultura. Dipende da come uno si sente – ha detto Perin -. La cultura consumistica diventa elemento chiave di definizione anche della propria appartenenza culturale, soprattutto tra i giovani universitari. Il dialetto diventa una scusa per non parlare in italiano. A questo proposito è stato coniato il termine “Italiese” che indica un dialetto italiano molto povero. Oggi si contano circa 90 milioni di italiani per discendenza nel mondo, ma della loro italianeità rimane ben poco” ha concluso Perin.