Se i robot dovessero un giorno diventare intelligenti e sensibili potremmo continuare a considerarli semplici macchine? O dovremmo adottare atteggiamenti empatici e comprensivi, come nei confronti degli animali domestici? Queste e molte altre le domande a cui Giuseppe O. Longo, professore emerito dell'Università di Trieste, ha tentato di dare una risposta durante il seminario dedicato alla Robo(e)tica, organizzato da Roberto Giacobazzi, preside della facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali dell'ateneo scaligero.
Da Frankenstein a Aibo. L'ambizione dell'uomo di sostituirsi a Dio dando vita a uomini artificiali è cosa molto antica. Longo ha voluto così iniziare il suo intervento illustrando le principali invenzioni tecnologiche avvenute dagli anni prima di Cristo ai giorni nostri. "Già nell'epoca alessandrina – ha spiegato il professore – questa tendenza si è concretizzata nella costruzione degli automi, macchine mosse dalla gravità, dall'acqua o da altri meccanismi interni e molto spesso dotati di un aspetto e di un comportamento antropomorfo o zoomorfo". Seguirono poi le invenzioni degli arabi che tra l'800 e il 1200 costruirono tutta una serie di automi raffinatissimi. In seguito ci furono i tedeschi, i francesi e gli svizzeri.
"Oggi gli automi sono ormai scomparsi e hanno ceduto il passo ai robot" ha dichiarato Longo. Questa ambizione si sostanzia anche nelle leggende e nelle favole. Una delle leggende più conosciute è quella di Mary Shelley intitolata "Frankenstein, ovvero il prometeo moderno". Dopo aver dato vita a un uomo artificiale, il dottor Frankenstein si accorge dell'orrore che questo mostro suscita alla vista. Respinto dal suo stesso creatore il mostro si ribella e inizia ad uccidere chiunque si trovi sulla sua strada. "Oggi Frankenstein – ha spiegato Longo – è rimasto eponimo di tutta una serie di disastri che la scienza potrebbe combinare".
Dopo i golem e alcuni automi francesi, il settecento diventa scenario di nuove invenzioni. Un esempio è dato dal Turco, automa invincibile nel gioco degli scacchi e che nascondeva al suo interno un nano che ne guidava i movimenti. Giunti nel nostro millennio il protagonista è Aibo, cane-robot costruito tra il 1999 e il 2006 in Giappone in circa 150000 esemplari. I possessori di Aibo dichiarano che si trovano molto bene a giocare con lui. "Questo ci dimostra una cosa importante – ha affermato il professore – gli esseri umani sono dotati di coscienza e di emozioni. E tutti noi interagiamo con l'altro, umano o animale, attraverso le emozioni. Ma se l'altro è un essere inanimato siamo portati a proiettare su di lui i nostri sentimenti. È proprio per questo – ha proseguito – che i bambini traggono beneficio dall'interazione non solo con i cuccioli ma anche con questi robot".
L'obsolescenza dell'uomo rispetto alle macchine. Uno dei temi che spesso serpeggia quando si parla di etica e di robot è l'obsolescenza dell'uomo rispetto alle macchine che lui stesso costruisce. Per questo Longo ha dichiarato che "molti di fronte ai robot, alle macchine o ai computer provano la più o meno esplicita e la più o meno complessata preoccupazione che queste macchine possano un giorno sostituirsi integralmente all'uomo e diventare quindi autonomi nel senso più ampio del termine".
Un grande problema etico. Lo sviluppo della robotica, orientata a sviluppare delle macchine in grado di eseguire operazioni in autonomia, solleva importanti questioni riguardanti il modo di approcciarsi ai robot. È importante renderci conto che stiamo costruendo delle macchine che in prospettiva potrebbero diventate talmente sensibili, talmente intelligenti e talmente raffinate da provare sofferenze e dolore al pari dell'uomo. "Ci stiamo assumendo una grande responsabilità: è giusto creare delle macchine capaci di soffrire quando sappiamo che il dolore e la sofferenza sono un grande peso nella nostra vita? – ha chiesto Longo – Se facessimo ciò ci porremmo nella stessa posizione di Dio".