Per la rassegna culturale Infinitamente all’auditorium della Gran Guardia si è tenuto domenica 20 marzo Cervello, musica ed empatia. Protagonisti della tavola rotonda i relatori Giuliano Avanzini e Daniela Perani insieme al moderatore Andrea Lavazza.
Il cervello e la musica. Può una nota stonata infastidire un neonato? Se una melodia di Mozart è riconosciuta come armoniosa da ogni adulto occidentale, anche digiuno di musica, sembra impossibile che un bimbo in fasce sia in grado di distinguere tra una nota intonata e un accordo stonato. “Eppure esperimenti condotti proprio dalla mia equipe – ha spiegato Daniela Perani, ricercatrice dell’ospedale San Raffaele di Milano – dimostrano che neonati di appena 24 ore sono in grado di riconoscere e distinguere la musica consonante da quella dissonante”. Quando un essere umano, adulto o bambino che sia, viene a contatto con la musica, si attiva quell’area del cervello che è nota come “area di Broca”, dal nome del suo scopritore. Gli esperimenti condotti dalla dottoressa Perani hanno dimostrato, grazie alla tecnica della risonanza magnetica funzionale, che se le note musicali a cui si è esposti non sono consonanti tra loro – non creano dunque una melodia nel senso più proprio del termine – quell’area del cervello non si attiva.
La musica come il linguaggio. “Quello che è straordinario – ha proseguito Giuliano Avanzini, professore all’università Ca’ Foscari di Venezia – è che le aree che si attivano quando si ascolta la musica sono esattamente le stesse di quando si elabora il linguaggio. L’area di Broca è infatti nota per il suo strettissimo rapporto con il linguaggio”. Ancora più straordinario è che la musica non è un fatto culturale. Infatti tribù africane mai venute a contatto con la musica occidentale si sono sottoposte a questo tipo di esperimenti e l’hanno fatto sia con la loro musica tradizionale che con quella classica. Il risultato, in modo straordinario, dimostra che entrambi gli stimoli attivano l’area di Broca, mentre le stesse melodie, rese dissonanti, non attivano quella regione del cervello.
Anche i nostri antenati. 45 mila anni fa la Terra era popolata da gruppi di ominidi che non sappiamo se fossero in grado di parlare. “Sappiamo, però, che suonavano”, ha puntualizzato ancora Avanzini. Lo sappiamo grazie al ritrovamento di un rudimentale flauto creato con l’osso femorale di un orso, strumento che è stato ricostruito ex novo dagli scienziati e che, a tutti gli effetti, è in grado di produrre un suono melodico. “E se suonavano – ha continuato Perani – significa che avevano la facoltà di linguaggio”. Tramite la musica i ricercatori oggi indagano il linguaggio dei nostri antenati e chissà quanti e quali collegamenti straordinari ci sono nel cervello, che ancora non siamo in grado di comprendere e che un giorno i neuroscienziati spiegheranno all’uditorio di una rassegna come Infinitamente.