Sconfiggere la sedentarietà e mettere fuori gioco i fattori pericolosi per la salute. Obiettivi che la facoltà di Scienze motorie ha preso molto sul serio con il progetto “La salute in movimento” dedicato ai cittadini veronesi con un’età superiore ai 55 anni. Al lavoro un ampio gruppo di ricercatori e operatori che combina qualificazione tecnica e competenza didattica e relazionale con una continua sperimentazione di nuove forme di attività.
Il progetto e i collaboratori. Il team di operatori e ricercatori del progetto è coordinato da Federico Schena, docente della facoltà di Scienze motorie. La facoltà, collaborando con l’Ulss 20, il dipartimento di Prevenzione e l’amministrazione comunale, è riuscita a far nascere e a sviluppare, non solo a Verona, ma anche in altri territori, progetti di prevenzione universale o di comunità finalizzati alla promozione di attività motoria nelle persone di ogni fascia d’età, con o senza condizioni che richiedano interventi di natura clinica. Sono programmi intersettoriali, complessi e richiedono l’intervento e la collaborazione di strutture sanitarie e di assistenza, di istituzioni, scuole, associazioni e cittadini competenti.
Ambiti di intervento. Importante ambito d’intervento degli esperti coordinati da Schena è quello della prescrizione dell’attività fisica per persone che presentano fattori di rischio o per quelle affette da condizioni patologiche. Obesità, ipercolesterolemia e cardiopatie possono essere così tenute sotto controllo da un esercizio fisico correttamente prescritto. Il progetto è anche rivolto a persone con disabilità stabilizzata da esiti di patologie neurologiche, del sistema muscolo-scheletrico e osteoarticolare che hanno terminato la fase di riabilitazione sanitaria. Tipologia, quella delle persone con disabilità, che necessita di attività fisiche adatte (Afa).
Programmi. Per Afa si intendono i programmi di esercizi non sanitari, svolti in
gruppo, predisposti per persone con patologie croniche e finalizzati alla modificazione dello stile di vita per la prevenzione secondaria e terziaria della disabilità.
Le due categorie in cui il progetto si propone di intervenire rispondono a esigenze contrapposte, per le persone affette da condizioni patologiche si intende attuare l’esercizio fisico, prescritto e somministrato come un farmaco. Le persone con disabilità intendono evitare un’inutile medicalizzazione di problemi non suscettibili di trattamenti sanitari appropriati. L’ultimo programma ha visto il gruppo di esperti della facoltà coordinare e promuovere il progetto europeo Paseo finalizzato a creare le politiche per la promozione della salute attraverso l’attività fisica nella popolazione anziana sedentaria.
La rete sorta in provincia di Venezia, con la collaborazione di Asl 13, amministrazioni comunali della Riviera del Brenta e associazioni, si sta espandendo alla Asl 14 e ai comuni ad essa afferenti (Chioggia, Cavarzere e Cona).
Lo scopo e l’importanza del progetto. “Le Afa per persone con bassa disabilità sono progettate per le sindromi croniche, che non limitano le capacità motorie di base o della cura del sé, quelle per persone con alta disabilità lo sono per le sindromi croniche con limitazione della capacità motoria e disabilità stabilizzate – ha spiegato Federico Schena – la caratteristica di queste attività è l’approccio che sposta l’attenzione della persona da ciò che non può più fare a ciò che riesce ancora a fare e che gli è utile per ricostruire una vita il più possibile indipendente. L’importanza delle Afa sta proprio nella capacità di spezzare il circolo vizioso innescato dalla sedentarietà che, diminuendo le capacità funzionali, rende più difficile i processi d’integrazione aumentando la disabilità della persona. Soprattutto in questo momento di particolare crisi, è opportuno rendere evidente che, oltre ad influire negativamente sulla qualità della vita delle persone, innesca un altro circolo vizioso: minore capacità funzionale, maggiore il carico di cura con conseguente aumento delle spese socio-sanitarie. La nostra attenzione è rivolta alla formazione dei nostri studenti che devono anche essere in grado di lavorare in equipe con i professionisti della riabilitazione apportando il loro indispensabile punto di vista, centrato sulle capacità, se pur residue, e non sulla disabilità data dagli esiti della patologia”.