“Salute e culture” è il titolo del convegno organizzato dalla Società italiana di pedagogia medica, dal Centro studi interculturali e dall’associazione Poiesis di Verona ospitato nella sala convegni della Banca Popolare. Nel corso dell’incontro Agostino Portera, presidente dell’associazione Poiesis e Luciano Vettore della Società italiana di pedagogia medica hanno discusso di come le diverse culture incidano sul concetto di malattia, puntando il riflettore sulle differenze di gestione che ne scaturiscono. A facilitare il dialogo la visione di quattro spezzoni di film, le cui scene sono servite da spunto per affrontare i temi dell’incontro, riassunti così da Portera: “tutte le persone, medici e pazienti, hanno i loro stereotipi e pregiudizi. Diviene però fondamentale investire su una messa da parte dell’etnocentrismo a cui la medicina a volte fa riferimento nell’affrontare le diverse malattie che incontra, per lavorare sulla comunicazione con lo scopo di giungere ad un punto di incontro”. Un tendersi la mano reciproco e “salutare”.
I tabù della medicina. Nelleprime due opere cinematografiche l’argomento principe è stato il pregiudizio verso il “diverso”. “I medici – ha detto Portera – nutrono aspettative sia negative che positive verso il paziente e questo li porta a schierarsi a favore o meno di una ripresa e di un miglioramento della sua condizione ancora prima di conoscere realmente la situazione. Il riferimento è ai linguaggi verbali e soprattutto non verbali con cui i medici hanno a che fare e che li porta, a volte, a interpretare male i bisogni dei pazienti. Ne scaturisce una decodificazione errata dei messaggi che il malato manda”.
Nel secondo lungometraggio i punti cardine della discussione sono stati il dolore e la paura. Molte le testimonianze del pubblico che hanno avvalorato la tesi di base secondo cui è a partire da queste che, a sorpresa, può instaurarsi una comunicazione efficace tra malato e medico. “La sofferenza e il panico sono esperienze universali che toccano tutte le dimensioni culturali – ha spiegato Vettore -. Il superamento di qualsiasi ostacolo fisico, mentale e socio-culturale diventa in questo modo quasi automatico. La comunicazione è più semplice e meno artificiale perché prescinde dall’autocontrollo delle due parti protagoniste”.
Il valore aggiunto della comunicazione. Negli ultimi due spezzoni presentati è emerso il problema delle differenze culturali. “Spesso per venirsi incontro sono fondamentali dei mediatori, come i familiari del paziente – hanno detto alcuni studenti di medicina durante il dibattito -. La medicina deve mettere da parte l’accanimento terapeutico con medicine e cure sperimentate e accreditate per lasciare più spazio al dialogo e al contatto con la famiglia e il malato. Sono l’umanità e la volontà di comunicare così come l’intenzione di trasmettere comprensione che spesso portano a successi impensati in ambito sanitario”. E sempre la comunicazione può aiutare a spianare la strada nel momento in cui ci si confronta con un argomento delicato ma di grande attualità e utilità: la sfera toccata è quella dell’occulto e del malocchio, settore che cozza contro la cultura della medicina occidentale tradizionale. Una domanda riguardante questo ultimo tema ha accompagnato le conclusioni. Ci può essere un incontro tra le due correnti agli antipodi? Si tratta di un quesito difficile in quanto la non accettazione del medico delle superstizioni e, viceversa, del dottore da parte del paziente credente non sempre fanno intravedere la luce in fondo al tunnel. La questione rimane aperta.