L’Università di Verona ha dichiarato la scelta del suo prossimo rettore. In simili circostanze ogni considerazione o commento rischia di essere scontata. Ci sono alcune cose, tuttavia, che meritano di essere rimarcate. La prima è il dovere da parte di tutta la comunità accademica di esprimere la propria riconoscenza ai tre docenti che hanno responsabilmente e consapevolmente offerto il proprio impegno nell’assumersi un ruolo il cui peso è indubbiamente molto sottovalutato, dentro e fuori l’Università. Quando ebbi io a fare questa scelta, un collega a me caro mi disse “Certo che di questi tempi bisogna proprio essere incoscienti per farsi carico di una grana di questo genere!”. Ed eravamo nel 2004, quando ancora – sia pure per poco tempo – le risorse per l’Università aumentavano del 5% l’anno. I tre colleghi Sartor, Campedelli e Giacobazzi sono persone che hanno lungamente partecipato sotto varie forme, anche durante il mio mandato, al governo dell’Università e conoscono quindi con chiarezza un aspetto troppo spesso ignorato: quello del forte prevalere degli oneri sugli onori in questo incarico. Troppo spesso si sente dichiarare: lo faccio per spirito di servizio. E’, senza alcuna discussione, un servizio. Un grazie senza riserve, dunque, ai tre candidati.
A Nicola Sartor, il rettore eletto, un plauso, un compiacimento, una partecipazione alla manifesta soddisfazione che ho colto nelle sue parole quando gli ho comunicato le mie congratulazioni. Una soddisfazione ampiamente conquistata e che sicuramente, come si desume chiaramente anche dalle sue prime dichiarazioni postelettorali, non nasconde la piena consapevolezza dei problemi che l’Università di Verona sotto la sua guida sarà chiamata ad affrontare.
Non intendo citare questi temi che peraltro, il Senato Accademico, proprio nella giornata di ieri, ha voluto affidare attraverso una sua mozione alla coscienza della società civile e della sua classe dirigente, perché non sono problemi privati di questo o quel rettore, sono i problemi dell’Università e, in quanto tali, problemi di una moderna collettività. Molti di questi sono temi intrinsechi al costante divenire nel tempo delle modalità di attuazione delle funzioni proprie dell’Università, a partire dal progresso della conoscenza al suo trasferimento, al supporto a ricerca e sviluppo della società, alla indispensabile internazionalizzazione. L’impegno dell’Università, di ogni Università in questa continua opera di manutenzione e crescita è costante ed inevitabile, anche se sovente tutt’atro che facile da trasmettere a delle comunità accademiche non sempre e non del tutto convinte di dover condividere e riconoscere regole finalizzate ad obiettivi della comunità e non alla proprie pregiudiziali aspettative.
Questi argomenti sono condivisi da tutti coloro che dell'Università hanno fatto la loro professione e che li hanno realizzati con risultati ben superiori a quelle che sono le diffidenze critiche di tanta opinione pubblica nei confronti dell’Università italiana: la prossima pubblicazione dei risultati della valutazione quinquennale della ricerca scientifica le offrirà un forte riconoscimento in tal senso.
Questa comunanza di obiettivi e di percorsi è stata opportunamente riconosciuta anche dal professor Sartor, che ha dichiarato di averne in varie occasioni dibattuto anche con gli altri candidati, intrinsecamente riconoscendo che, a prescindere dalla inevitabile dialettica preelettorale che ingigantisce divergenze tutto sommato ben poco significative, vi è – come è scontato e necessario che vi sia – una forte convergenza sui temi fondamentali che fondano l’Università.
Vi è un argomento in qualche misura accessorio rispetto ai succitati elementi fondamentali. In questi ultimissimi anni siamo stati messi a confronto con una operazione di significato eccezionale: una riforma dello stato giuridico degli Universitari che ha comportato una profonda revisione della governance delle Università, nei confronti della quale gli spazi di autonomia lasciati alle singole sedi da parte del ministero sono stati piuttosto limitati. Anche su questo il professor Sartor, autorevole componente della commissione che ha elaborato il testo del nuovo statuto dell’Università di Verona, è solidamente preparato, nella indiscussa sua autonomia di interpretazione delle dibattute regole imposte dalla legge. Vi è un aspetto sul quale auspico che vi possa essere una non altrettanto scontata convergenza: Il ministro dell’Università ha dichiarato che non intende mettere in discussione la 240/2010, intende prima verificarne lo stato di attuazione e l’impatto sul funzionamento e sugli indici di produttività dell’Università. Una simile operazione sarebbe altamente desiderabile venisse realizzata anche all’interno dell’Università di Verona sulle scelte attuative dello statuto che gli Organi di governo hanno deliberato. La verifica fa parte del metodo sperimentale che ogni studioso adotta nel suo procedere e, senza voler in alcun modo ipotecare le autonome scelte future del rettore che sarà in carica, sono convinto che il professor Sartor condividerà questo passaggio. Potranno esservi delle differenze procedurali, di interpretazioni di ruoli, ma ritengo che le finalità siano comuni. E questo riguarda un ulteriore importante aspetto: il ruolo che il rettore riveste all’interno della Conferenza dei rettori delle Università italiane, che oggi è per statuto la Conferenza delle Università italiane in essa presenti e attive con il loro rappresentante legale, il rettore. E’ un ruolo politico di grande rilevanza, che offre la possibilità ad ogni Ateneo di offrire un contributo attivo all’intero sistema, nel quale l’Università di Verona non è più l’ultima arrivata, ma una voce solida e rispettata.
Congratulazioni e calorosi auguri al professor Sartor e, in lui, alla nostra Università.
Alessandro Mazzucco