A partire dal 2012 l’introduzione del Tirocinio formativo attivo (Tfa) ha rimesso in gioco gli atenei nel reclutamento e nella formazione dei futuri insegnanti, trasferendo il buono delle vecchie Ssis in un’esperienza più snella e razionale. L’università di Verona nel 2012 ha attivato la prima edizione dei Tfa e in parallelo ha istituito i Pas, percorsi di abilitazione speciale, dedicati ai precari con più di tre anni di servizio. Abbiamo fatto chiarezza sul percorso di abilitazione all’insegnamento, che negli ultimi 15 anni ha subito numerose trasformazioni, con Mario Longo, ordinario di Storia della filosofia e presidente della commissione di corso del Tirocinio formativo attivo di ateneo.
Prof. Longo, può illustrare in maniera sintetica quale percorso accademico è necessario intraprendere per diventare insegnanti nelle scuole secondarie di primo e secondo grado?
Negli ultimi vent’anni l’accesso alla professione di insegnante è stata oggetto di molti interventi legislativi. Inizialmente l’abilitazione e l’ingresso in ruolo avvenivano attraverso concorsi nazionali, poi regionali, intervallati da molte sanatorie per sistemare i precari. Finalmente una quindicina d’anni fa sono state istituite scuole regionali di specializzazione che attribuivano la qualifica dell’abilitazione. Erano molto numerose, tante quante le abilitazioni, che solo per le scuole secondarie superiori sono un centinaio. Ed ecco allora l’ultima riforma che prevede un percorso a numero programmato che si svolge inizialmente nell’università (corsi magistrali per ogni abilitazione all’insegnamento) e poi un terzo anno misto scuola-università, definito tirocinio formativo attivo (Tfa). Di fronte alle difficoltà incontrate dal ministero per accorpare le classi di abilitazione e alle resistenze di alcune facoltà, come quelle di Scienze, che si rifiutavano di istituire accanto ai corsi normali corsi paralleli riservati all’insegnamento nelle scuole, si è pensato di congelare parzialmente la riforma e di attivare soltanto il Tfa con un legame tra lauree magistrali esistenti e abilitazioni stabilito dal Ministero. Due anni fa abbiamo attivato la prima edizione e quest’anno parte la seconda edizione dei Tfa, ma nel frattempo sono stati istituiti per i precari della scuola (con più di tre anni di servizio) dei percorsi di abilitazione speciali (Pas) che abbiamo articolato su tre anni, data la numerosità degli aventi diritto. Pertanto quest’anno siamo impegnati su due fronti, su quello dei Tfa (per un totale di circa 550 iscritti), e su quello dei Pas (altri 450 iscritti).
Che cosa sono i Tfa e quali si tengono a Verona?
I Tirocini Formativi Attivi (Tfa) sono corsi istituiti dalle università sulla base di una programmazione dei posti fissata a livello regionale dal Ministero. Le attività sono di due tipi: la prima si svolge per intero in sede universitaria e prevede un’attività di formazione pedagogica di carattere generale e un’attività di formazione specifica nelle didattiche disciplinari. La vera novità di questi percorsi è costituita dal secondo tipo di lavoro richiesto ai futuri abilitati, rappresentato dal tirocinio nelle scuole coordinato da un professore di scuola secondaria, parzialmente distaccato dal servizio, il quale tiene i rapporti con i docenti dell’ateneo e segue infine l’elaborazione della tesi finale. Il corso si conclude con gli esami di stato che abilitano alla professione dell’insegnante nella scuola secondaria nelle diverse classi di abilitazione. L’istituzione dei Tfa a livello regionale ha comportato un accordo tra le quattro università del Veneto, in base al quale alcuni Tfa sono presenti soltanto a Verona, altri invece risultano dallo sdoppiamento, dovuto alla loro eccessiva numerosità, di Tfa presenti anche a Padova e Venezia. (In allegato l'elenco dei Tfa attivati dall’università di Verona con i numeri della programmazione regionale).
Quali caratteristiche deve avere secondo lei un buon insegnante? Quali consigli può dare alla luce della sua esperienza?
Un buon insegnante è anzitutto un professionista ben preparato sul piano metodologico, culturale e disciplinare. Deve però continuare a formarsi e ad aggiornarsi, dato che le tecniche e i modelli da seguire sono sempre nuovi, del tutto o in parte. Deve coltivare una certa curiosità per il mondo in cambiamento e per i valori e anche gli stili di vita che mutano di generazione in generazione. Ma vi è una dote che non deve mancare e che, purtroppo, non può essere insegnata e difficilmente può essere appresa nel tempo. E’ quella che un tempo era detta “vocazione”, una specie di chiamata che parte dal di dentro di noi e che ci fa desiderare e amare questa professione, per la verità una professione molto particolare e diversa da tutte le altre. Non è difficile individuare se c’è stata o se non c’è stata questa chiamata, basta interrogare onestamente se stessi, basta saper valutare il modo in cui impostiamo (o tendiamo impostare) il rapporto con gli altri. Se siamo egocentrici, orgogliosi e saccenti, se non siamo mai contenti di quello che gli altri fanno o dicono e siamo invece sempre pronti a prevaricare e ad imporre il nostro punto di vista, se non siamo portati a guardare gli altri negli occhi e a farci carico dei loro problemi, non siamo adatti alla professione dell’insegnante, anche se tecnicamente siamo preparatissimi e possiamo essere considerati dei luminari nella nostra disciplina.
07.08.2014