“Dalle discriminazioni ai diritti”. E’ questo il titolo del nuovo dossier sui residenti stranieri in Italia e in Veneto curato dal centro studi e ricerche Idos per conto dell' Ufficio nazionale anti discriminazioni razziali del dipartimento per le Pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri. Il documento a Verona è stato presentato dal Cestim che ha fatto il punto sul fenomeno immigratorio, dal contesto mondiale a quello italiano passando per quello veronese, dando voce ai numeri e alle statistiche. Secondo stime Cestim, sono 109.471 gli immigrati residenti nella provincia di Verona al primo gennaio 2014, con un aumento di 8.850 persone rispetto all’anno precedente (+4.789 unità nel solo comune di Verona rispetto al 2013). Un fenomeno sociale in netta espansione, che richiede approfondimenti e ricerche. Abbiamo fatto il punto con Agostino Portera, docente di Pedagogia generale e sociale, direttore del Centro studi interculturali dell'ateneo e presidente del Collegio didattico in Scienze pedagogiche di ateneo.
Professore un commento da addetto ai lavori sui dati emersi dal recente dossier condotto da Idos per l’Unar?
Il Centro Studi e Ricerche Idos, sulla base del Dossier Statistico Immigrazione, ha realizzato per conto dell’Unar – Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali – il rapporto “L’immigrazione in Italia all’inizio del 2014”. Dal documento si evince che oggi nel mondo vivono 7 miliardi e 124 milioni di persone, fra cui almeno 2,7 miliardi (oltre mezzo miliardo in Africa) di persone sopravvivono con un reddito al di sotto della soglia di povertà (2,5 dollari giornalieri). Dalla metà degli anni ’70, e in misura più consistente a partire dagli anni ’80, l’Italia è progressivamente diventata un paese di immigrazione. Dopo oltre un quarantennio, alla fine del 2013, gli stranieri residenti nel paese sono ufficialmente 4.922.085 su una popolazione complessiva di 60.782.668, con un aumento rispetto all’anno precedente di 164.170 unità (+3,7%). Preoccupante mi pare il fatto che in tale documento emerga come, nonostante nel mondo il fenomeno migratorio abbia assunto caratteristiche sempre più strutturali, in Italia la conoscenza di questa realtà risulta ancora limitata e si riscontrano atteggiamenti di chiusura, talvolta anche discriminatori verso i cittadini immigrati. Segnatamente, i casi di discriminazione segnalati all’Unar nel 2013 sono stati 1.142, dei quali il 68,7% su base etnico-razziale. I mass media rappresentano il fronte più esposto (34,2% delle segnalazioni rispetto al 19,6% dell’anno precedente). Preoccupanti sono anche i casi di discriminazione nei contesti di vita pubblica (20,4% del totale), nonché il 7% di segnalazioni circa l’accesso al lavoro e ai servizi pubblici, e il 5,1% riguardo l’accesso alla casa. In sintesi, siamo ancora lontani dal poter usare il concetto di inclusione paritetica sia a scuola, sia nel mondo del lavoro o nella società civile.
Qual è l’andamento delle politiche europee e italiana sul tema immigrazione che non può più essere pensata come un fenomeno, ma è una delle caratteristiche della nostra società?
Essendo una caratteristica strutturale, l’immigrazione e la vita in società multiculturali andrebbero affrontati con provvedimenti giuridici e interventi educativi appropriati. Nel maggio 2007 i Ministri dell’Educazione europei, riunitisi ad Istanbul hanno riconosciuto le competenze di cittadinanza come una delle precipue per promuovere democrazia e coesione sociale. Ma occorre intendersi sul concetto di cittadinanza. Storicamente le prime leggi sulla cittadinanza nei paesi europei sono state promulgate nel corso dell’Ottocento, parallelamente al formarsi degli Stati-nazione. Il concetto di cittadinanza impiegato a tutt’oggi risale dalla definizione storica di T.H. Marshall fondata su tre ordini di diritti: civili (libertà individuale); politici (voto, potere politico) sociali (benessere, sicurezza economica). Nella società complessa e multiculturale, alla luce della crescente presenza di cittadini e culture diverse, non è più adeguato basare la cittadinanza all’appartenenza singola e individuale ad uno stato nazionale. Piuttosto, diviene necessario e urgente sviluppare nuovi approcci alla cittadinanza che tengano conto delle identità collettive e plurime presenti in ogni Stato europeo: di fatto, molti cittadini appartengono in modo e su piani diversi a più di una società. Allora occorre ripensare la cittadinanza, superando tenendo conto della realtà modificata.
Professore, l’educazione e la socializzazione iniziano a scuola. Quali sono le caratteristiche che devono avere i formatori e gli educatori all’interno di una società multiculturale?
Nel mondo, in Europa e in Italia viviamo drastici cambiamenti in cui le differenze spesso sfociano in discriminazioni, disparità di successo scolastico e di inserimento lavorativo. Mai come oggi gli esseri umani hanno dovuto far fronte a così tante crisi si piani economici, politici, sociali, ambientali, culturali. A mio parere per riconoscere e fronteggiare al meglio le crisi occorre investire sulla cultura (intesa come conoscenza) e sull’educazione. Per contrastare tale allarmante sviluppo, che genera forte tensioni sociali e l’impiego di ingenti risorse, umane e finanziarie, in vari Paesi del mondo sono stati sviluppati diversi approcci pedagogici. A mio parere la pedagogia interculturale potrebbe costituisce la base di partenza più adeguata per riconoscere e gestire al meglio tali problemi, trasformandoli in opportunità di crescita e di arricchimento personale e collettivi. L’approccio della pedagogia interculturale rappresenta una rivoluzione perché concetti come “identità” e “cultura” non sono più intesi in maniera statica, bensì dinamica, in continua evoluzione; l’alterità, l’emigrazione, la vita in una società complessa e multiculturale non sono più considerati come rischi di disagio o di malattie, ma come opportunità di arricchimento e di crescita personale e collettiva. L’approccio interculturale si colloca tra universalismo (transcultura) e relativismo (multicultura), ma li supera ambedue, aggiungendo le possibilità di dialogo, confronto e interazione. Inteso in tal modo, l’approccio educativo interculturale contiene anche una dimensione politica per educare alla cittadinanza democratica, giacché persone con scarsa educazione politica sono pericolose, poiché non comprendono la complessità umana e della società o forse optano per soluzioni semplicistiche, basate su slogan populistici che incoraggiano modelli autoritari e indemocratici come risposta a difficili sfide della società.
19.11.2014