Una scoperta tutta veronese, nata dalla collaborazione tra diversi gruppi di ricerca del dipartimento di Medicina diretto da Oliviero Olivieri, ha permesso di identificare le cellule responsabili e i meccanismi alla base della fragilità ossea nell’anemia falciforme. La ricerca è stata pubblicata su "Blood", prestigiosa rivista internazionale di riferimento per l’area biomedica.
Gli scienziati si sono occupati di pazienti affetti da anemia falciforme e hanno messo a punto un modello di murino che permette di studiare, in modo approfondito, questa malattia genetica che colpisce bambini e ragazzi. A coordinare la ricerca da Lucia De Franceschi, docente della scuola di Medicina, referente regionale ad alta specialità per le anemie rare e membro del network europeo Enerca, European network for rare anemias, e da Luca Dalle Carbonare, docente della scuola di Medicina e responsabile del Centro regionale specializzato per la ricerca biomolecolare e istomorfometrica nell’ambito delle malattie scheletriche e degenerative. Collaboratori preziosi per il raggiungimento della scoperta sono stati Alessandro Mattè, assegnista di ricerca e Angela Siciliano, tecnico di laboratorio. Hanno collaborato anche Vittorio Schweiger, ricercatore del dipartimento di Scienze chirurgiche, odontostomatologiche e materno-infantili dell'ateneo veronese, e AC&E, azienda operante nel settore della sicurezza delle macchine e degli impianti.
"Grazie allo studio – ha spiegato De Franceschi – abbiamo valutato la microarchitettura ossea in questo modello di murino, ricreando le condizioni che si manifestano nei pazienti affetti da anemia falciforme".
“Lo studio dello scheletro, eseguito sullo scheletro dei topi malati – prosegue Dalle Carbonare – ha rivelato una notevole compromissione dell’architettura ossea e del turnover scheletrico, evidenziando anche un’alterazione importante dell’attività degli osteoblasti, le cellule deputate alla produzione di matrice ossea”.
Fondamentale, inoltre, il contributo di Maria Teresa Valenti, biologa assistente alla ricerca presso il dipartimento di Medicina, per comprendere i meccanismi cellulari e molecolari alla base di questa compromissione ossea.
"Siamo molto soddisfatti – conclude De Franceschi – dei risultati ottenuti, e non solo per la prestigiosa pubblicazione, ma anche perché essi sono la prova di come le sinergie scientifiche interdipartimentali permettano di raggiungere l’eccellenza nella ricerca a livello internazionale".
03.11.2015