Dopo le Olimpiadi, chiuse dall’Italia con un bottino di 28 medaglie, gli impianti sportivi di Rio de Janeiro si preparano a ospitare la 15esima edizione dei Giochi Paralimpici estivi, in programma dal 7 al 18 settembre. Ad affrontarsi nelle 23 discipline previste dalla manifestazione saranno oltre 4.300 atleti, provenienti da 176 Paesi del mondo. La delegazione azzurra sarà composta da 101 atleti: ai 96 qualificati da tempo se ne sono aggiunti 5 nelle ultime settimane, che si sono aggiudicati alcuni dei posti rimasti liberi dopo la squalifica della nazionale russa. Abbiamo parlato di queste Paralimpiadi con Federico Schena, docente di Metodi e didattiche della attività sportive e motorie e presidente del Collegio didattico di Scienze motorie.
Paralimpiadi 2016, occasione importante per puntare i riflettori sul movimento paralimpico italiano. Qual è la situazione oggi?
Il movimento paralimpico e, più in generale, lo sport dedicato alle persone con disabilità è certamente in grande espansione, sia qualitativa che quantitativa. Ai riconoscimenti istituzionali, il Comitato Italiano Paralimpico è stato recentemente riconosciuto come ente dello Stato, assimilabile in tutto al Coni, si associano evidenze scientifiche sempre più convincenti dei molti vantaggi della pratica sportiva in tutti coloro che hanno una condizione di disabilità. A livello territoriale c’è ancora qualche gap da colmare ma si sta andando nella giusta direzione. Anche come ateneo abbiamo inserito proposte di attività sportiva per i nostri studenti che contiamo di espandere per il prossimo anno accademico.
Di recente, il presidente del Comitato Paralimpico italiano Luca Pancalli ha sottolineato l’importanza della pratica sportiva per i disabili, soprattutto in termini di integrazione e di salute..
È una giusta sottolineatura, potremmo dire quasi scontata visto che si tratta di due aspetti fondamentali per tutti coloro che fanno attività fisica e sport in qualsiasi condizione di abilità. Forse l’enfasi più corretta è legata al fatto che la disabilità si accompagna a una riduzione drammatica del movimento attivo ed è ormai chiaro a tutti coloro che si occupano di salute che è proprio questa mancanza a produrre numerosi e drammatici effetti negativi sulle persone, basti pensare ai problemi legati al sovrappeso e alle malattie degenerative. Non dimentichiamo, inoltre, gli aspetti piscologici e sociali che sono certamente di grande rilievo per molte persone in condizioni difficili (non penso solo ai disabili ma anche a persone di età avanzata e in condizioni di disagio economico) e che ricevono da una corretta e mirata attività sportiva un aiuto spesso fondamentale. Vorrei però sottolineare che per entrambi questi obiettivi, salute e benessere personale, servono proposte ben strutturate e competenze specifiche in chi le propone: in questi ambiti l’improvvisazione, seppure guidata dall’entusiasmo e dalla buona volontà, non può essere una efficace modalità di intervento.
Anche con le Paralimpiadi a tenere banco in questa vigilia è soprattutto l’esclusione della squadra russa, estesa anche alle prossime Paralimpiadi invernali. Vuole commentare questa decisione?
La mia esperienza passata e recente nel mondo sportivo agonistico mi induce a non commentare, per il semplice fatto che mancano gli elementi di chiarezza necessari per un giudizio corretto e rispettoso di tutti i protagonisti istituzionali e individuali. Il doping è una forma di imbroglio aggravato dalla pericolosità per la salute. La cultura di uno sport agonistico esasperato e delle sue espressioni sociali, che pone al centro la conquista di un titolo o di una medaglia come valore assoluto, in qualche modo diviene il primo incentivo all’uso di ogni mezzo, doping compreso. Credo che per tutti gli sportivi, ma soprattutto per chi pratica sport in situazione di disabilità, l’educazione allo sport come espressione del proprio valore di persona, indipendente dal risultato di classifica e di merito, sia l’unica e la migliore strategia antidoping.
Facciamo un passo indietro di qualche settimana e torniamo alle Olimpiadi. Pronostico rispettato con la delegazione azzurra che raggiunge lo stesso numero di medaglie di Londra 2012. Quali sono state, secondo lei, la medaglia più bella e la delusione più grande?
Provo a fare la voce fuori dal coro. Abbiamo replicato Londra quindi non abbiamo peggiorato, anche se non vi sono dubbi sull’impegno che ogni atleta ha messo in gioco. Mi permetto anche di dire che il solo conteggio delle medaglie, da un punto di vista di un’analisi approfondita, è molto riduttivo. Al prossimo congresso della Società Italiana di Scienze Motorie e Sportive, che si terrà ad ottobre a Roma, avremo un simposio dedicato a questo tema anche con il presidente del Coni Malagò e discuteremo di cosa fare assieme in prospettiva dei futuri appuntamenti. Tuttavia non voglio eludere la domanda e con la passione dello sportivo praticante, e anche l’orgoglio di essere veronese, non posso che assegnare a Elia Viviani la palma dell’impresa più bella ed emozionante per il modo e lo spirito con cui è stata ottenuta. Per contro un po’ di delusione per il “solo” argento del team di pallavolo, ci eravamo un po’ illusi e forse è mancato all’ultimo impegno la tenuta piscologica e fisica per battere una fortissima nazionale come il Brasile, che tra l’altro giocava in casa. Queste le opinioni dalla poltrona di casa ma conto di poter offrire a tutti i nostri studenti la voce dei protagonisti di queste medaglie in occasione del prossimo UniVRSport al Chiostro San Francesco il pomeriggio del 5 ottobre.
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05.09.2016