“Lavorare nel calcio”. Questo il titolo dell'evento conclusivo di Univerò del 27 ottobre, tra i più frequentati di tutta la manifestazione con oltre 500 studenti presenti nell'aula magna del silos di Ponente. Un momento di incontro, strutturato come una motivante chiacchierata tra Roberto Mancini, talentuoso numero dieci del calcio italiano e allenatore e Federico Schena, presidente del Collegio didattico di Scienze motorie. Mancini è stato accompagnato da Giuliano Bergamaschi, dello staff di Roberto e docente di Scienze motorie.
“UniVerò – ha esordito Schena – si pone come obiettivo quello di mettere l’accento sul passaggio dallo studio al lavoro, sulle strategie e le modalità per rendere questo passaggio particolarmente efficace. Da questo punto di vista il calcio può essere un paradigma interessante, soprattutto quando riusciamo a parlarne con una persona che ha iniziato giovanissima a giocare a calcio e l’ha vissuto e lo sta vivendo in tanti modi”.
L’inizio. Mancini prende allora parola, partendo dal suo percorso iniziato quando era giovanissimo. “Sono andato via di casa a tredici anni per andare a Bologna. Non è stato facile, ma ho avuto la fortuna di trovare dei punti di riferimento importanti: i miei genitori, in primis, che mi hanno insegnato l’educazione, il rispetto degli altri e delle regole. Sono stato fortunato a trovare persone perbene”. E il pensiero va a Paolo Mantovani, presidente della Sampdoria, dove Mancini ha giocato per quindici anni, sottolineando come le relazioni, l’ambiente, la città (Genova allora) abbiano un ruolo fondamentale per stare bene e crescere.
Essere padroni del proprio destino. “Le cose non possono andare sempre bene. – ha proseguito Mancini – Nei momenti di difficoltà, occorre essere tenaci, perché i sacrifici a volte possono essere ripagati. Gli errori? Di errori ne ho fatti, ma almeno sono sempre stato padrone del mio destino, perché ho imparato a scegliere per me stesso”. Avere il proprio destino in mano era la pratica e il monito, come ha ricordato Schena, di Nelson Mandela, padrone del suo destino e capitano della sua anima. Un insegnamento a rimanere fedeli a se stessi e ai propri desideri.
Da calciatore ad allenatore. A Mancini il carisma non è mai mancato: indice di una chiara predisposizione per arrivare ad assecondare le proprie ambizioni anche da allenatore. “Non ce la facevo più a giocare, ero stanco fisicamente, e il mio obiettivo era allenare e volevo arrivarci velocemente. Ho imparato da Eriksson, ho adottato un mio metodo e poi ho studiato a Coverciano, dove escono gli allenatori più preparati del mondo”.
Il mondo del calcio presenta differenti figure professionali. Quanto è importante lo staff per un allenatore? La domanda di per sé è retorica e presuppone una risposta affermativa, ma se sviscerata diventa importante per capire quante competenze si dispiegano e prendono rilevanza all’interno del calcio. Questa questione è particolarmente interessante per gli studenti di Scienze motorie, un’area che forma esperti e professionisti nell’ambito dell’attività fisica e motoria, con competenze specifiche anche nella preparazione fisica. “Gli infortuni purtroppo capitano, ma in Italia i preparatori fisici sono molto validi. Il calcio potrebbe diventare un volano per la promozione della salute: è auspicabile e dobbiamo muoverci in questa direzione”. Poi Mancini suggerisce che all’estero, lui ha allenato anche il Manchester, ci sono altre figure professionali che hanno un ruolo fondamentale: in Inghilterra c’è la figura del manager, leader sia dell’area tecnico-calcistica che di quella economico finanziaria.
28.10.2016